L’AQUILA – La rivista TESORI D’ABRUZZO, diretta da Paolo de Siena, nel numero 66 uscito da qualche giorno nelle edicole, apre con l’articolo “Sulle tracce del lago“. Il contributo di Goffredo Palmerini, giornalista e scrittore, su 8 pagine nelle quali racconta gli antichi popoli che abitavano la Marsica, il lago del Fucino, i vari propositi e tentativi di prosciugarlo, dall’imperatore Claudio (52 d.C.) che fu il primo, fino ad Alessandro Torlonia (1862) che definitivamente realizzò quell’antico progetto.
Il prosciugamento cambiò geograficamente il volto dell’Abruzzo interno (il Fucino era il terzo lago italiano per estensione), e della Marsica il clima, l’economia, le abitudini e il lavoro della gente che viveva nei borghi intorno al grande lago. E tanto altro ancora, fino alla seconda metà del Novecento, quando il Fucino è diventato l’Orto d’Italia, con le sue colture intensive che danno prodotti della terra e ortaggi di eccellente qualità, che primeggiano nei mercati italiani ed europei. Nella rivista, inoltre, tanti straordinari contributi che raccontano i borghi d’Abruzzo con le loro meraviglie, le vie del gusto e insigni Personaggi della nostra regione. Se può essere d’interesse questo che segue il mio contributo ospitato su Tesori d’Abruzzo.
SULLE TRACCE DEL LAGO
di Goffredo Palmerini *
La storia del Fucino prende avvio in epoca glaciale, quando tra il Pliocene e il Quaternario si forma, nel corso dell’orogenesi dell’Appennino, una depressione, una vasta conca circondata da rilievi montuosi. In quella depressione, situata intorno ai 600 metri di altitudine, si formò un lago carsico di circa 160 km2, sarebbe stato il terzo per estensione in Italia, dopo il Garda e il Maggiore. Il lago del Fucino, alimentato da nove torrenti e da infiltrazioni, non avendo alcun emissario, era soggetto ad improvvise e alte oscillazioni del livello dell’acqua – livello mai stato superiore ai 23 metri di profondità -, tanto da provocare inondazioni o secche assai malsane, tanto da indurre il suo primo prosciugamento dapprima in epoca romana sotto l’imperatore Claudio (nel 52 d.C.), poi nel 1862 il secondo e definitivo prosciugamento ad opera dei Torlonia. Delimitato a nord dalla catena montuosa del Velino e del Sirente, ad ovest dalla dorsale del molte Salviano, ad est da altri rilievi e dalla valle del Giovenco, mentre a sud da quelli della Vallelonga, l’attuale piana del Fucino, risultante dal prosciugamento dell’Ottocento, è di 16.507 ettari di terreno. Ma andiamo per ordine.
Il lago del Fucino aveva una fauna di assoluta ricchezza e suggestione: cigni reali, bianche cicogne, anatre selvatiche e diverse specie di uccelli variopinti. Tutt’intorno al bacino lacustre crescevano magnolie profumate, palme ombrose, oleandri e camelie, allori e agavi, salici, pioppi, faggi e abeti, ma anche una gran quantità di ulivi e ciliegi. Nelle sue acque trasparenti diverse specie di pesci. Il territorio circostante il lago era abitato dai Marsi, uno dei popoli italici più fieri e coraggiosi, ma in parte anche dagli Equi e dai Volsci. A sue spese Roma sperimentò il coraggio e la determinazione dei Marsi e delle popolazioni italiche che vivevano nell’antica terra d’Abruzzo – Sabini, Vestini, Peligni, Marrucini, Pretuzi, Frentani e Sanniti al confine col Molise – nel corso della Guerra Sociale (91-88 a.C.).
Quelle popolazioni, fino ad allora alleate dei Romani in varie campagne militari, quando il Senato di Roma negò ai Marsi la cittadinanza romana, si unirono nella Lega Italica ed entrarono in guerra sotto la guida di Quinto Poppedio Silone per conquistarsela con le armi. Alla fine del conflitto i Marsi e gli altri popoli italici furono sconfitti, ma Roma non mancò di ristabilire buone relazioni e di concedere loro lo status di “cittadini romani”. Appunto Roma, che già conosceva il valore di quei guerrieri inquadrati nella Legio Martia, anche con Virgilio confermò l’assunto “Nec sine Marsis, nec contra Marsos”, ossia né senza i Marsi né contro i Marsi si può vincere.
Lo stesso Poeta aveva fatto di Umbrone, eroe marso, un alleato di Turno contro Enea: era stata quasi un’epifania dello spirito italico dei Marsi che si sarebbe poi manifestato sul campo di battaglia con la Guerra Sociale. Virgilio parla di Umbrone esaltandone anche le doti di incantatore di serpenti. Alla sua morte l’eroe marso sarà pianto dal bosco di Angizia, mitica sorella di Medea e Circe. Ancor oggi il primitivo culto della confidenza con i serpenti rivive a Cocullo, dove si usa catturare e rendere innocue le serpi per vestirne la statua di San Domenico, nella festa religiosa di calendimaggio così fortemente ancorata ai riti atavici precristiani.
Capitale della Marsica fu Marruvium (ora San Benedetto dei Marsi), come annotava Ottaviano Giannangeli, “… che per Virgilio designò etnicamente tutta una gente e che figura come civitas Marsorum e civitas Marsicana, e anche come Marsus Municipius”. Ma la capitale vera della Marsica è il Fucino, elemento centrale della sua storia e della sua leggenda. Benché i Romani amassero il Fucino come luogo per la loro villeggiatura, fu proprio in epoca romana che iniziò ad emergere la necessità di prosciugare e bonificare il lago. Le sue zone meridionali, infatti, erano quelle più soggette alle inondazioni, con enormi problemi per gli agricoltori. Altro grande problema di quella parte paludosa del lago, specie in tempo di magra, era la malaria. Cosicché l’idea di prosciugare e recuperare a zona fertile il più grande lago appenninico albergò dapprima nella mente di Giulio Cesare, ma all’impresa colossale dedicò tenacia e determinazione, intorno alla metà del primo secolo, l’imperatore Claudio, che vi impiegò oltre trentamila uomini per circa undici anni.
Occorreva perforare il monte Salviano e raggiungere il fiume Liri con una galleria di oltre cinque chilometri. L’imperatore Claudio ci riuscì, con un’opera idraulica di straordinaria cognizione ingegneristica, della quale oggi restano significativi reperti archeologici relativi all’imbocco (incile) del tunnel di defluvio delle acque del lago. L’emissario artificiale, fatto costruire da Claudio, andò in deperimento sotto Nerone, per mancanza di manutenzione. Fu poi restaurato per impulso dell’imperatore Adriano, ma successivamente, nei secoli della decadenza dell’impero romano, si ostruì definitivamente.
Intanto il lago dava sussistenza alle popolazioni costiere con la pesca, oltre che con le colture agricole compatibili con la mitezza del clima determinata dal vasto bacino lacustre. Altri tentativi di prosciugamento, non approdati a risultato, furono progettati e intrapresi nei secoli seguenti da Federico II di Svevia, successivamente da Alfonso I d’Aragona, e persino da papa Sisto V, un pontefice con particolare predilezione per i lavori pubblici e per lo sviluppo urbanistico, il quale vi impegnò i migliori architetti e ingegneri, ma senza esiti apprezzabili.
Il problema si ripose sotto i Borbone, con Ferdinando IV, che dispose lavori per il restauro dell’emissario servendosi degli ingegneri Stile, Afan de Rivera e del tedesco Kramer, ma tutto si arenò per mancanza dei fondi necessari da parte della società costituita per realizzare l’opera. Nel 1851 nella società subentrò per l’intero capitale il banchiere Alessandro Torlonia, il quale tre anni dopo dava il via alla titanica impresa. Alla fine l’opera costò oltre 43 milioni di lire, una cifra astrale per quel tempo anche per un grande banchiere. Nel 1876 il re Vittorio Emanuele II conferiva a Torlonia, a motivo della realizzazione della straordinaria opera e del prosciugamento del lago, il titolo di “Principe del Fucino”, unitamente assegnandogli la proprietà di 15mila ettari del fertile terreno risultante dal pianeggiante alveo del lago.
L’avvenuto prosciugamento inaugura anche la nascita della nuova capitale della Marsica, quel piccolo borgo sulla via Tiburtina Valeria cresciuto intorno al castello Orsini e poi Colonna, s’avviava a diventare la città di Avezzano, raggiunta un decennio dopo anche dalla nuova ferrovia trasversale che collegava Roma con l’Adriatico. La crescita di Avezzano è veloce, irruente. Presto supera Celano per numero di abitanti e acquisisce la dignità di diocesi dei Marsi, sottraendola a Pescina. Uno sviluppo galoppante, quello di Avezzano, che però un terribile sisma, il 13 gennaio 1915, paralizza mettendo in macerie la città, come pure squassa e distrugge tutti i centri abitati che circondavano l’antico lago. Trentamila i morti. Una tragedia nazionale nel mezzo d’una guerra mondiale, nella quale quattro mesi dopo anche l’Italia sarebbe entrata.
Di quegli anni terribili, delle condizioni della gente marsicana, scriverà storie e memorie imperiture un giovane di 15 anni di Pescina, rimasto orfano dal terremoto e da don Orione accolto in uno dei suoi istituti: Secondino Tranquilli, conosciuto in tutto il mondo come Ignazio Silone attraverso lo pseudonimo da scrittore. Silone, un giornalista, un grande scrittore, un politico coraggioso e intellettualmente onesto, un Uomo che della Libertà fa la sua etica esistenziale, contribuendo poi a scrivere, da Deputato costituente, la nostra Costituzione.
Con la nascita dell’Italia repubblicana, dopo la dittatura fascista e la fine del secondo conflitto mondiale, nella Marsica esplodono i conflitti sociali legati al latifondo agricolo, ai problemi dei braccianti. In quegli anni di rinascita del Paese si provvede alla Riforma agraria. Torlonia viene sostituito dall’Ente Fucino, quindi dall’Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo Agricolo (ARSA). Nasce anche una banca popolare, la Banca del Fucino. I contadini diventano proprietari terrieri.
Da questa rivoluzione prende forma lo sviluppo agricolo intensivo del Fucino. I risultati si misurano nel sostanziale miglioramento della produzione agricola: in dieci anni, dal 1948 al 1958, il grano passa da 26 quintali per ettaro a 36, le patate da 140 q/ha a 230, le barbabietole da 260 q/ha a 380. Tra gli effetti positivi della riforma la semplificazione catastale, che porta ad un accorpamento della piccola proprietà contadina tra affittuari che avevano piccole particelle di terreno anche in diversi Comuni. Purtroppo numerosi braccianti restano esclusi dall’assegnazione delle terre. Alcuni emigrano nella Maremma toscana, altri prendono la via dell’espatrio lungo le rotte della grande diaspora migratoria italiana.
Nei decenni successivi alla riforma grandi passi in avanti ha fatto l’agricoltura nel Fucino: le colture sono state scientificamente selezionate, sono sorte le associazioni dei produttori, si è sviluppata la qualità delle produzioni e la loro razionale commercializzazione, sono stati conquistati e selezionati i mercati dove destinare i prodotti agricoli, viene riconosciuta la tipicità di alcune produzioni che ne certifica origine ed eccellenza qualitativa. Questa è storia dell’oggi e del futuro del Fucino, uno dei bacini eccellenti di produzione agricola, tra i più avanzati nel Paese e in Europa.
*da Tesori d’Abruzzo (n. 66, Marzo 2023)