Essere arbereshe o amare gli Arberesh o abitarli. Io li abito, ho eredità, li amo. Ma non basta. Per realizzare una progettualità bisogna andare oltre.
Soprattutto bisogna necessariamente andare oltre ciò che si chiama accademia.
Restare dentro il pensare e il pensiero che è lingua, linguaggio, parola.
È fondamentalmente cercare di legare/intrecciare tradizione, religiosità, storia con la letteratura che è alla base di una espressione linguistica, con le arti che sono manifestazioni complesse e articolate con i segni tangibili della creazione di una civiltà, con il rito che lega il tempo dell’Oriente con l’Occidente.
Tutto questo passa inevitabilmente sotto un modello che è dimensione antropologica. Il bene culturale immateriale necessariamente deve fare i conti con il patrimonio culturale materiale.
La letteratura e la lingua in quanto immateriali del bene si confronta necessariamente con le chiese, con la ghitonia, con le strutture e i reperti. I camini e il Bizantino delle chiese sono beni immateriali.
Le radici illiriche riportano, chiaramente, a un rapporto archeologico con il mondo balcanico che vive dentro i Mediterranei.
La progettualità in questo caso deve nascere da tre epicentri: biblioteche, archivio, musei. La realtà degli Italo-albanese deve entrare nei percorsi istituzionali ufficiali. Ovvero si ha bisogno di una “rete” nazionale e euro-internazionale di tali forme strutturali che diano un senso veramente istituzionale.
Occorre una biblioteca nazionale degli Arberesh, un archivio e in museo che possano raccogliere le testimonianze di una storia e “provocare” modelli di fruizione e valorizzazione. La cultura arbereshe deve essere la rappresentazione di un bene culturale tra il materiale e l’immateriale. Un “esercizio” che deve permettere di andare oltre le sette/otto regioni dove risiedono gli Arberesh.
Otto perché? La Legge del 1999 andrebbe ritoccata. Il Piemonte ha inaugurato forte componente/nucleo di italo-albanesi. La questione della lingua va riconsiderare sul piano di una logica puramente linguistica. Bisogna fare in modo di creare una koinè unica pur e nonostante le forme varie di “parlate” locali. Ma lingua italo-albanese deve avere una sua unicità.
È inutile insistere sulla diversità delle lingue. Non si esce fuori dal problema che ha una sua esercitazione grammaticale e sintattica e ortografia. Da anni/decenni porto avanti questo aspetto. È giunto il tempo di unifica le lingue in una lingua unica. Il resto è provincialismo/paesanismo dialettale.
Il Progetto deve puntare a tali capisaldi se so vogliono superare le nicchie. È bene che si affronti ciò con serenità, serietà, problematicità dialettica.
Cerchiamo di fare un discorso alto e profondo. Identità, eredità, appartenenza. Soltanto filtrando ciò in un progetto valorizzante si può pensare alla rinascita complessiva di una cultura arbëreshe.
Il convegno su “ISTRUZIONE, COMUNICAZIONE E RICONOSCIMENTO DEL COORDINAMENTO ART. 3 COMMA 3” svolto al Senato, organizzato dalla Associazione Crucitti, con la presenza, tra gli altri, del vice presidente del Senato Maurizio Gasparri, ha posto in evidente proprio questo percorso.