La modernità omologa privando il contatto con quella tradizione che custodisce non solo un bene materiale (ben poco visibile ormai) ma soprattutto immateriale. Riapriamo il dibattito anche sul piano istituzionale. Etnie storiche e modernità. Esige un confronto costante tra cultura moderna e presenze etniche diretto ad una profonda consapevolezza della cultura della tradizione evitando che le etnie storiche perdano la loro valenza etica e documentaria. L’appartenere ad una identità altra è vivere il tempo della spiritualità di una cultura. Il sentimento delle radici non solo si tramanda attraverso modelli di tradizione ma si partecipa con manifestazioni di cultura e di umanità che costituiscono espressione, certamente, antropologica ma, soprattutto, etica, religiosa, ontologica e di storia del diritto…
La cultura moderna deve costantemente, oggi più che mai, confrontarsi con le presenze etniche che insistono sul territorio nazionale. Senza una profonda consapevolezza della cultura della tradizione le etnie storiche perdono la loro valenza sia etica che documentaria. Un dibattito tutto da riprendere e da sviluppare in una logica in cui il concetto di tradizione deve avere un suo senso.
Il dibattito, comunque, è aperto. Etnie storiche e modernità. È un confronto che muove da principi che sono di natura politica ed etica, oltre ad essere matrici di un conflitto tra ideologia della tradizione e interpretazioni progressiste.
È una questione non solo di principi ma, si tratta, soprattutto, di un percorso formativo e istituzionale. Le minoranze etno-linguistiche sono parte integrante di quei processi etnici, che rappresentano delle realtà storico-culturali con una loro fisionomia e una loro funzione antropologica, che testimoniano istanze non innovative ma conservative.
La storia delle minoranze etno-linguistiche è una storia che ha vissuto stagioni di grandi conflittualità e di confronti sul piano storico, ma anche di importanti fasi, in cui il senso dell’identità viene ad essere assorbito come modello di ereditarismo nella consapevolezza anche di una nobiltà e dignità culturale.
La cultura popolare e i codici dell’appartenenza sono elementi fondamentali perché, grazie ad essi, la storia si intreccia con il mito, con fattori etnici, con elementi archeologici e artistici, con la ricerca sul campo mai completamente assente dall’atto giuridico che, proprio attraverso la sua istituzionalizzazione, difende il ruolo della tutela e dell’identità di una minoranza.
La cultura delle minoranze non risiede nei processi culturali della modernità. È una cultura che è patrimonio di una tradizione. È necessario, quindi, riconsiderare il rapporto tra storia, territorio, testimonianza e sentire etico-esistenziale sulla base di una precisa normativa. La modernità è fuori da ogni contatto con quella tradizione che custodisce non solo un bene materiale (ben poco visibile ormai) ma soprattutto immateriale.
Occorre un humus particolare. Bisogna avvertire e vivere l’essere di una diversità (in positivo, naturalmente) rispetto alla realtà della omologazione. La modernità omologa. Nell’età dell’utilitarismo tutto diventa mercato. Si è minoranza in quanto, tra l’altro, si è anche depositari di più culture e di più storie, come d’altronde, si può verificare tra le etnie linguistiche storiche presenti in Italia e sancite dalla Legge n. 482/99.
Occorrerebbe andare anche oltre quelle presenze minoritarie sancite dalla normativa e penetrare il territorio dal punto di vista sia linguistico che storico-antropologico.
L’appartenere ad una identità altra è vivere il tempo della spiritualità di una cultura. Il sentimento delle radici non solo si tramanda attraverso modelli di tradizione ma si partecipa, non soltanto con episodi che possono isolare ma con manifestazioni di cultura e di umanità che costituiscono espressione, certamente, antropologica ma, soprattutto, etica, religiosa, ontologica e di storia del diritto.
Le vere radici non sono nell’esposizione folcloristica ma nella impresa religiosa (e non mi riferisco soltanto a forme rituali e liturgiche che hanno una loro ricchezza imponente). L’appartenenza di un popolo diventa orizzonte di senso e orizzonte culturale grazie a quei legami che sono profondamente metafisici. La Costituzione italiana è molto precisa in merito a ciò.
Il tema delle minoranze etno-linguistiche si presenta, soprattutto oggi, con delle chiavi di lettura che offrono la possibilità di spaziare in contesti e temperie abbastanza eterogenee.
Ci sono aspetti storici, antropologici, letterari, musicali, artistici, esistenziali che si inquadrano in una visione in cui il rapporto tra tradizione, cultura e identità (come modello di appartenenza e come riferimento geografico) diventa fondamentale e anche questo tessuto trova una regolamentazione giuridica.
Alcune minoranze (o meglio alcuni popoli che hanno trovato una loro sistemazione in Italia) si portano dietro dei codici sia linguistici che culturali (e quindi identitari) che risentono (e rimandano, quindi, ad una tradizione) di un legame (o di una matrice) con le civiltà sommerse che hanno interessato il Mediterraneo.
Ci sono minoranze che provengono dal mare e si sono stanziate (molte di queste) lontano dal mare. Ci sono minoranze che hanno una vocazione risalente ad una geografia interna ed hanno mantenuto questo contatto.
Ma ci sono anche altre minoranze che si sono innestate su ceppi già esistenti. Si pensi ai Grecanici o agli Italo-albanesi o ai Ladini ma si potrebbero menzionare tutte quelle realtà di minoranza etno-linguistica (compresi quelli parlanti) sancite dalla normativa vigente. Una normativa aperta che sottolinea proprio come considerare le minoranze in Italia attraverso uno specchio giuridico senza il quale sarebbe stato difficile definire sia i processi storici che le impalcature che hanno portato alla tutela stessa.
Resta fermo un concetto che è quello del rapporto tra l’identità come difesa di un patrimonio e la tradizione che però non resta come rispetto del tempo vissuto ma si presenta sotto forma di una rivitalizzazione e di una affermazione giuridica vera e propria.
Perché la vera risorsa delle minoranze non sta nel rinchiudersi o nell’ancorarsi ad una memoria che resta solo tale ma nel sapersi confrontare con civiltà altre che si aprono a saperi diversificati. Questo non significa disperdere patrimoni di valori. Anzi ,vuol dire rafforzare una identità nelle identità sommerse che si confrontano.
Tradizioni, usi, costumi, lingua, arte non sono soltanto dei processi da valutare in termini culturali ma da penetrare sul piano di una sensibilità umana attraverso un apparato socio-giuridico. Il Mediterraneo ha visto e vede passaggi di popoli che trasmettono modelli di appartenenza. Non una appartenenza. Ma modelli che interagiscono con i vari Paesi frontalieri ma anche con quei Paesi interni che al Mediterraneo devono molta della loro storia.
Le etnie che sono presenti in Italia, anche quelle che hanno una radice nordica, non possono definirsi senza una valenza che ci spinge alla comprensione di snodi valoriali provenienti da realtà mediterranee.
L’Italia è, nell’ambito di una visione geografica ampia, espressione di mediterraneità e si porta dietro una profonda esperienza che è quella dell’identità di un incrocio, appunto, tra Occidente ed Oriente.
Il senso dell’antico e la profondità delle radici non possono recidersi. Ecco perché la multiculturalità e la realtà multietnica hanno trovato in Italia sempre una sede di accoglienza articolata e straordinaria anche dal punto di vista emozionale. Se insistono presenze minoritarie che sono portatrici di etnie diversificate non è solamente una questione relativa alle nuove migrazioni o alle nuove diaspore ma l’Italia è una terra che custodisce antiche etnie che si sono ben radicate sul territorio.
Questo radicamento non è una questione di ospitalità (come si potrebbe ospitare uno straniero) ma si tratta di un fenomeno che si è ben spalmato sul territorio stesso attraverso l’entrare dentro una comunità. Pur mantenendo l’appartenenza originaria hanno trovato nel Paese ospitante identità con le quali convivere e confrontarsi.
E queste presenze minoritarie si sono integrate non abbandonando la cultura valoriale che rimanda costantemente a delle radici che pur essendo lontane nel tempo restano come riferimenti certi. Le culture di minoranza etno-linguistica hanno un patrimonio identitario non solo ricco di storia. Valori e simboli costituiscono un raccordo fondamentale che vive nell’humus di una appartenenza che richiama codici (e si richiama a) che sono la testimonianza di profondi radicamenti.
Le civiltà muoiono quando viene meno la relazione del linguaggio. Si autodistruggono. La perdita del linguaggio (che non è solo la lingua in sé) è la perdita, tra laltro, della manifestazione dei simboli. Le civiltà e i popoli durano e resistono alla modernità se hanno simboli da esprimere.
Esperienze a confronto, ovvero modelli che interagiscono anche su un piano formativo. Tutte le culture sono il prodotto di interazioni, di scambi, di influssi provenienti da altrove(1).
Le etnie sono l’esperienza di una memoria, che sottolinea identità, appartenenza, radicamento. Sono pertanto difesa di un patrimonio, che non è, soltanto, culturale ma anche etico, religioso, esistenziale e giuridico.
I popoli e le civiltà che precipitano nell’oblio sono quelli che non riescono più a rappresentarsi e che hanno smarrito le voci e gli echi di un passato che si recita proprio grazie a manifestazioni e a segni ricavati da una narrazione della lontananza. Si è consapevoli che il significato di un segno è il segno in cui esso deve venir tradotto(2).
Le etnie, riportando sulla scena una memoria che ricostruisce, non fanno altro che invitare il presente a non dimenticare, ovvero a non disperdere il ricordo.
La comunanza di valori, di lingua, tradizione, profili culturali e territoriali determinano la valenza etnica. Ciò che resta dentro caratterizza una appartenenza. L’etnia, in fondo, è l’espressione di un appartenere. Una comunità alla cui base si focalizzano la lingua, la tradizione e quella memoria, che è ricostruzione ma è, soprattutto, superamento dell’oblio. Il riferimento resta, comunque, nella stesura di quegli atti giuridici che hanno permesso anche il varo della Legge n. 482/99, ovvero la norma sulla tutela della lingua.
Il caso della storia e della cultura in senso complessivo, italo-albanese, facciamo un esempio, si presterebbe ad una valutazione che non è da scandagliare solo in una dimensione antropologica o letteraria ma la verifica di un approfondimento sull’identità illirica creerebbe delle spinte intorno a processi che sono di natura etno-archeologica. Non bisognerebbe risalire alle prime presenze arbresh prendendo come testimonianze le storiche sette fasi migratorie ma indagare sul perché gli Albanesi trovano un riferimento identitario in quell’arco geografico che è l’Italia meridionale.
Quell’Italia meridionale che è stata anima e geografia della Magna Grecia. Il rapporto con il territorio è un rapporto tra la storia e i beneficiari di una cultura che ha una sua derivazione da una storia orale. Dato sottolineato anche dal punto di vista del diritto.
Le minoranze etno-linguistiche, in Italia, si testimoniano attraverso una varietà di caratteristiche, che presentano aspetti di ordine rituale, antropologico, storico, linguistico, appunto, geografico che danno vita alla cultura di un popolo. Ma è la lingua che permette di definire quei processi di civiltà che sono, sostanzialmente, dei veri e propri processi di identità.
L’Italia presenta, tuttora, una mappatura linguistica abbastanza variegata e si distingue per una concretezza dei linguaggi stessi usati o adottati nei diversi contesti territoriali. Nonostante tutto la difesa della lingua italiana ha una sua forza interiore che resiste agli urti delle esterne influenze. I dialetti non fanno altro che irrobustire la lingua nazionale nei confronti di linguaggi altri che provengono da realtà culturali limitrofe.
La cultura italiana, in fondo, è una cultura antica che custodisce un bagaglio ampio di sostrati identitari il cui valore dell’appartenenza nazionale è abbastanza profondo.
L’esempio delle comunità arbresh diffuse nelle sette Regioni dItalia è un portato storico-culturale che passa inevitabilmente in un processo di difesa della cultura. Le minoranze storico, linguistiche e culturali (in senso più generale) sono portatrici di istanze culturali, che arricchiscono lidentità unitaria in un processo storico di integrazioni multi-etniche ma che a loro volta si arricchiscono di valori consolidati sul territorio.
La forza delle minoranze sta proprio nella tutela del loro valore etnico. Un valore che si media nel tempo perché, come più volte si è detto, la storia delle minoranze non solo ha una sua diversificazione ma ha un suo radicamento con delle radici profonde attraverso la tutela.
L’Italia è riuscita ad accogliere questa presenza grazie a dei processi che hanno una loro robustezza nella testimonianza e, soprattutto, in un percorso giuridico che parte proprio dalle capitolazioni le quali costituiscono uno dei primi strumenti che permettono di definire giuridicamente i rapporti tra le comunità albanesi e il territorio ospitante. Sono state proprio le capitolazioni ad enucleare il dato giuridico che poi ha permesso di stabilire un rapporto fondamentale tra gli Albanesi e il territorio italiano.
Dalle regolamentazioni delle capitolazioni il dialogo tra comunità e territorio e popolo Albanese ha dato vita alla cultura arbresh ovvero alla cultura degli italo-albanesi.
(1) Fabietti, U., Lidentità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1995.
(2) Jakobson, R., Gli aspetti linguistici della traduzione in Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, 1966.