Il 3 ottobre del 1858 nasceva Eleonora Duse. Una attrice dentro il teatro. Quel teatro che si è definito come un archetipo della vi. Già a pensare come e dove sia nata ci offre la consapevolezza che la recita è la tangibilità della sua esistenza. L’attrice che diventerà la regista di se stessa. Ovvero la capo comica.
I personaggi che ha portato sulla scena sono il dramma rivelato nello specchio della gestualità. Fare teatro senza luci è complesso e la voce inventa tutto. Il teatro con le luci sulla scena è un teatro di paziente gestualità. Sono gli sguardi, gli occhi, le mani, le pose che creano il teatro. E questo nonostante il copione già definito o scavato da un’opera letteraria.
È certo che il teatro di Eleonora cambia nel momento in cui incontra Gabriele D’Annunzio. Perché il linguaggio è già nel testo dannunziano che ha bisogno di trovare l’interprete. L’interprete è lei. La Divina che rende sublime la rappresentazione. Quindi non fu soltanto un legame di amorosi sensi il loro.
Ma è nel teatro che l’amore si solidifica e si distrugge. Si pensi alla Francesca da Rimini. Oppure ai contesti che vanno dalla Figlia di Iorio alla Città morta. Cosa c’è dietro tutto questo? La bellezza come ricerca dell’assoluto. Ovvero l’estetica che diventa la vera trasposizione dell’estasi. Ermione è forse il punto più lirico che si incentra in un dato propriamente poetico che ha la necessità della recita tra il linguaggio dello sguardo e il linguaggio delle parole.
Raggiunge il suo punto più tragico però nel momento in cui Eleonora porta sul palco la storia del romanzo di Grazia Deledda. Quel romanzo tragico, Cenere, trova in Eleonora l’impatto con un personaggio che è di per sé drammatico nel romanzo.
La commedia in tragedia di una madre. Qui si gioca un vocabolario che non è fatto soltanto di parole, ma di segni, di atteggiamenti, di raccordi tra le mani e gli occhi in una movenza in cui il corpo dell’attrice si fa interprete di se stessa. Perché Eleonora è quella madre e quella madre è tutta rispecchiata nei contorni e nell’essere della donna attrice Eleonora.
Un legame strettissimo che crea un connubio tra la vita e il teatro.
Ma Gabriele non assume forse la stessa chiave di interpretazione delle sue opere? Due personaggi che portato nella letteratura e nel teatro la vita, le loro vite. Ed qui che la letteratura tout court diventa un sistema autobiografico del proprio sentire, del proprio essere, del proprio dramma. Il teatro moderno in un Novecento della tradizione.
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Pierfranco Bruni, nato in Terra Calabra cui è profondamente legato, vive tra Roma e la Puglia da molto tempo. Archeologo, antropologo, letterato e linguista, fecondo saggista e poeta è presidente del Centro Studi Francesco Grisi e vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Dal carismatico e sopraffine stile letterario, Bruni è alla seconda candidatura al Nobel per la Letteratura. Già Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali e componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, nel corso della sua carriera è stato docente in Sapienza Università di Roma ed ha appronfondito lo studio rivolto alla tutela e alla conoscenza delle comunità di minoranze etnico-linguistiche.