Addio a Louise Elisabeth Glück poetessa e saggista statunitense premio Nobel per la letteratura 2020. Era nata a New York, 22 aprile 1943 è morta Cambridge in Massachusetts, il 13 ottobre 2023 per un cancro. Aveva 80 anni. La notizia della scomparsa è stata diffusa da un portavoce della Yale University.
‘Per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale”, questa la motivazione del premio conferito dall’Accademia di Stoccolma” a Louise Gluck, sedicesima donna a ricevere l’ambito riconoscimento mondiale. Prima di lei l’ultimo americano premiato era stato Bob Dylan. Ricevuta la telefonata del premio da Stoccolma – con relativo assegno da dieci milioni di corone svedesi, ovvero poco piu’ di un milione di dollari, disse: “Potrò comprarmi una casa in Vermont”.
Gluck, che l’anno scorso era stata insignita in Italia del premio Lerici Pea, nata a New York, amava Vermont dove, dopo aver cominciato a insegnare al Goddard College, che Louise supero’ un lungo “blocco dello scrittore” e produsse la sua seconda raccolta di poesie, The House on Marshland, pubblicata nel 1975 applaudita dalla critica. A Goddard Louise aveva anche conosciuto il secondo marito, lo scrittore John Dranow, padre dell’unico figlio Noah, da cui aveva pero’ divorziato negli anni Novanta.
Louse Gluck vinse il Premio Pulitzer per la poesia, 1993 (per Wild Iris) il Premio Bollingen per la poesia, 2001, L.L. Winship/PEN New England Award, 2007 (per Averno: Poems), il Golden Plate Award, American Academy of Achievement, 2012, ed ancora il Los Angeles Times Book Prize (Poesia), 2012 (per Poems), il National Book Award per la poesia, 2014 (per Faithful and Virtuous Night).
Louse Gluck proveniva da una una famiglia di immigrati ebrei ungheresi e trascorse la sua infanzia a Long Island a New York.
Il padre Daniel, inizialmente intenzionato a diventare scrittore, raggiunge il successo come uomo d’affari gestendo un’azienda con il cognato, coinventore del coltello X-Acto. La madre Beatrice, laureata in francese al Wellesley College, in un’epoca in cui era raro che le donne frequentassero l’università le impartisce un’istruzione basata sui classici e sulla mitologia greca, stimolandola a scrivere poesie fin dalla tenera età.
Durante la sua adolescenza Louise soffre di anoressia nervosa. Al suo ultimo anno alla George W. Hewlett High School, a Hewlett, New York, inizia il trattamento psicoanalitico, durato circa sette anni. In quel periodo scrive: “Ho capito che a un certo punto sarei morta. Quello che sapevo in modo più vivido, più viscerale, era che non volevo morire”.
Nello stesso saggio descrive la malattia come il risultato dello sforzo di affermare la propria indipendenza dalla madre; in un altro testo, la collega alla morte della sorella maggiore, un evento avvenuto prima della sua nascita.
Alla psicanalisi attribuisce il merito di averla aiutata a superare la malattia e di averle insegnato a pensare.
Dopo le superiori segue un corso di poesia al Sarah Lawrence College e dal 1963 al 1965 si iscrive ad alcuni seminari di poesia alla School of General Education della Columbia University, che offre programmi per studenti non a tempo pieno. Qui conosce i poeti Léonie Adams e Stanley Kunitz, da lei successivamente riconosciuti come mentori significativi nel suo sviluppo come poeta.
Glück oltre ad sottolineato l’influenza della psicoanalisi sul suo lavoro, evidenzia l’importanza del classicismo, della mitologia e delle leggende nella sua prima formazione. Ha inoltre riconosciuto l’influenza dei poeti Léonie Adams e Stanley Kunitz. Studiosi e critici hanno sottolineato, tra gli altri, l’influenza letteraria sul suo lavoro di Robert Lowell, Rainer Maria Rilke ed Emily Dickinson.
La sua prima raccolta di poesie, Firstborn, pubblicata nel 1968, riceve una buona critica.
Nel corso della sua carriera Glück ha pubblicato dodici antologie di poesie conosciute per la loro precisione linguistica e il tono austero. Il poeta Craig Morgan Teicher l’ha definita una scrittrice per la quale “le parole sono sempre scarse, faticosamente vinte e da non sprecare”
La critica
La studiosa Laura Quinney ha sostenuto che l’uso attento delle parole ha messo Glück “nella linea dei poeti americani che apprezzano la feroce compressione lirica”, da Emily Dickinson a Elizabeth Bishop, una tradizione prevalentemente di poetesse. Glück utilizzerebbe il requisito della moderazione, della precisione e del ritardo (pause introdotte dalla punteggiatura, interruzioni di strofa), contro lo “slancio dell’espressione” proveniente dall’apposizione e dall’anafora (frasi che iniziano con “Io”). Questo conflitto, evidente nella poesia The Sensual World in cui uno stato di “risveglio spietato” si oppone a quello precedente di “trance”, produce una forte tensione ritmica: nelle poesie Glück usa raramente la rima, affidandosi invece alla ripetizione, all’enjambement e ad altre tecniche.Tra studiosi e critici si è discusso se quella di Louise Glück debba essere considerata poesia confessionale, per la prevalenza della modalità in prima persona e la presenza di argomenti intimi, spesso ispirati da eventi personali.
Ha riconosciuto l’appartenenza di Glück a questo genere poetico lo studioso Robert Baker, mentre il critico Michael Robbins ha negato che essa possa far parte dei poeti confessionali come Sylvia Plath o John Berryman, perché Glück non si rivolge ad un pubblico ugualmente convinta di questa sua estraneità al genere è Laura Quinney, secondo la quale la poesia di Glück va oltre l’autobiografia, ed è solo apparentemente spontanea: «per la Glück, la modalità “confessionale” è odiosa» La studiosa Helen Vendler ha rilevato come “nella loro obliquità e riservatezza, le poesie di Louise Glück, offrono un’alternativa alla confessione in prima persona, pur rimanendo indiscutibilmente personali”.
Dalla raccolta delle cinquantaquattro poesie “L’iris selvatico” (1992)
Alla fine del mio soffrire c’era una porta.
Sentimi bene: ciò che chiami morte lo ricordo.
Sopra, rumori, rami di pino smossi.
Poi niente.
Il sole debole tremolava sulla superficie secca.
È terribile sopravviverecome coscienzasepolta sulla terra scura.
Poi finì: ciò che temi, essere un’anima e non poterparlare, finì a un tratto, la terra rigida un poco curvandosi.
E quel che mi parve uccelli sfreccianti in cespugli bassi.
Tu che non ricordi passaggio dall’altro mondo
ti dico che seppi parlare di nuovo: tutto ciò che ritorna dall’oblio ritorna per trovare una voce:
dal centro della mia vita venne una grande fontana, ombre blu profondo su acqua di mare azzurra.
Louise Gluck,
Premio Nobel per la Letteratura 2020.