La Regina zingara che venne da una città chiamata NonSo

...Era bella. Rimase a guardarmi...Aveva navigato i porti delle Balere e portava nella danza la sensualità delle donne cubane... l tempo è impareggiabile quando non si perde...Non mi basta raccontare. O non mi serve. Mi basta immaginare...

Non mi basta raccontare. O non mi serve. Mi basta immaginare. O forse voglio solo immaginare. È ciò che ha un senso. Per me, almeno per me.

La Regina venne da un paese di nome NonSo. Aveva i capelli neri e lo sguardo di un mare con un vento d’altura. Aveva navigato i porti delle Balere e portava nella danza la sensualità delle donne cubane.
Gli occhi. Quegli occhi di una smisurata tenerezza giocavano a catturare altri occhi di una grandiosa dolcezza. Dicevano. Soltanto dicevano.
Le labbra. Quelle labbra di un viola attraente richiamavano la sensualità di fiamme di baci nelle notti macedoni.
Il sorriso. Quel sorriso aperto ad accogliere infiniti sorrisi nelle ironie delle vite ritrovate e mai perse.

Sotto le palpebre un filo di rosso amaranto faceva ombra a ciò che sarebbe stato il crepuscolo e poi il tramonto.
Era zingara. Una Regina zingara. Ed era bella con i fianchi ondeggianti come le donne che danzano camminando a passo di samba. Era bella. La zingara.

Gli orecchini pendevano a cerchio e avevano un suono d’argento nell’oro consumato da secoli. Era bella. Intorno al collo una pashimina turca con colori gialli e arancione. Sembrava venisse dal Tibet.

Mi prese le mani. Le strinsi le mani. Aprì una delle mie e segnò le linee dicendomi: Ti leggo il destino. Ma quale destino? Sentii bussare alla porta della stanza. Un sogno o immagine? Notte. Notte buia. Continuò a toccare le linee delle mani. Mi disse: Vivrai un amore. Semplicemente un amore ma sarà un grande amore. Poi non aggiunse nulla.

Era bella. Rimase a guardarmi. I suoi occhi. Alle caviglie un cerchio con fili buddisti. La zingara. Forse non veniva da città chiamata NonSo. Forse dal deserto o dalla magia di un silenzio. Era bella.

Il tempo è impareggiabile quando non si perde. È stregante quando resta. La Regina zingara si arruffò i capelli. Dei miccetti scendevano sulla fronte. Riccioli in nero di tinta. Le unghie color vinaccio graffiavano leggermente la pelle del petto. Mi accolse con una voce cadenzata di un Oriente mediterraneo in echi balcani. La vita è un paesaggio di ritmi. Come quando si fa l’amore su un tappeto delle mille e una notte. Poi un volo di silenzi si sentì nella stanza. Il resto è immaginazione. Forse tutto è immaginario.

Non mi basta raccontare. È ripetere ciò che si vive. Mi basta vivere. O voglio solo immaginare? Larga è la strada. Lungo è il cammino. Io dico sempre la mia. Sperando che gli altri dicono sempre la loro. Di cosa? Ma la Regina veniva da una città di nome NonSo.

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Pierfranco Bruni, nato in Terra Calabra cui è profondamente legato, vive tra Roma e la Puglia da molto tempo. Archeologo, antropologo, letterato e linguista, fecondo saggista e poeta è presidente del Centro Studi Francesco Grisi e vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Dal carismatico e sopraffine stile letterario, Bruni è alla seconda candidatura al Nobel per la Letteratura. Già Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali e componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, nel corso della sua carriera è stato docente in Sapienza Università di Roma ed ha appronfondito lo studio rivolto alla tutela e alla conoscenza delle comunità di minoranze etnico-linguistiche.

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