Metafisica delle antropologia e archetipi. Il mito deve sempre fare i suoi conti e resoconti con i simboli di una antropologia che presenta dimensioni etniche e filosofiche. Un “sottosuolo” di chiarimenti fatto di storia e di immaginario. Ma le etnie storiche sono un processo dentro l’eredità delle etnie. C’è sempre un tessuto che è fatto di nostos.
Sostiene Mircea Eliade: “Tramite la nostalgia ritrovo delle cose preziose. Ho quindi il sentimento che non perdo niente, che niente va perduto” (in La prova del labirinto, Jaca Book, 1979). La nostalgia non è solo un memento lirico all’interno della letteratura. È un esistere nell’essere della letteratura. In questo essere della letteratura il labirinto rappresenta la metafora per eccellenza. Si esce dal labirinto perché il sentimento delle radici conduce verso quella nostalgia attraverso la quale è possibile capire il senso dell’abbandono e il bisogno del ritorno.
La nostalgia si dichiara inevitabilmente nel (e con il) mito. Il mito e la diaspora, il canto popolare e il legame con le radici, il sentimento della lontananza e il tempo nella metafora del viaggio sono modelli di un processo letterario nel quale gli archetipi restano elementi fondamentali in quella letteratura mediterranea fatta di mare e di terra. Uno dei luoghi – metafora (ovvero dei non luoghi) è la nostalgia che vive dentro la letteratura del viaggio di quegli scrittori che hanno vissuto il senso della diaspora.
La diaspora nel sentire della fuga, della partenza, del distacco. E la fuga per lo scrittore albanese è simile ad un vivere dentro un labirinto. I personaggi, molti personaggi, sono assillati dal vivere dentro un labirinto. Chi vive dentro un labirinto però si avvia verso un ritrovare l’orizzonte delle origini. Un concetto eliadiano (da Mircea Eliade, già citato, grande scrittore e studioso delle religioni rumeno) che spesso ritorna in quella dimensione della metafora del ritorno e costituisce una chiave di lettura di un misterioso che avvolge la parola e il significato del tempo stesso della parola nella traducibilità, appunto, della nostalgia.
Nella terra di Eliade, di Cioran, di Horia, di Ionesco, ovvero la Romania il tempo del mito si fa profezia. Tra etnie e letteratura.
Ma ci sono precisi riferimenti che si rintracciano sia nella fiaba che nella leggenda. Si prende come esempio la letteratura degli archetipi. Tracciati di una letteratura archetipi che fanno parte di quella cultura popolare che è stata (e lo è ancora oggi per molti aspetti) cultura orale. Il mito (o i miti) è una trasmissione dell’oralità.
In questi casi, in particolare, è proprio la poesia popolare che resta trasmissione di una oralità soffusa che partecipa al “destino” di un territorio ma soprattutto al “destino” di un popolo che si esprime grazie ad esperienze di cultura. Ma la cultura, secondo sempre Eliade (osservazione completamente condivisa) “è la condizione specifica dell’uomo. Non si può essere uomo senza essere un essere di cultura”.
Ciò è la via verso il mito che è la chiarificazione delle etnie.
Il mito nella letteratura delle etnie è una dichiarazione di incontro tra un percorso onirico e la ricerca di archetipi che sono dentro la parola della metafora che ha una sostanziale consapevolezza mediterranea. Da questa consapevolezza il mito e l’archetipo sono uno sviluppo non solo culturale ma anche esistenziale. Gli strumenti che tengono vivo questo legame sono i luoghi. Le allegorie che continuano tale legame sono i non luoghi.
Nell’incavo di questo legame vive il tempo della nostalgia che resta la vera anima di una letteratura che ha superato la diaspora e si lascia ascoltare nell’accenno di una spiritualità che trova nella decodificazione del destino non un riferimento storico ma metaforico. La metafora è, allora, un luogo. Dentro il quale vivono i viaggi di personaggi e racconti che trascrivono la storia stessa grazia ad una griglia di simboli tra l’onirico e l’archetipo.
La storia c’è al di là del tempo – metafora – spazio. “Ogni essere storico porta con sé una grande parte dell’umanità prima della Storia” (Mircea Eliade in Immagini e simboli, Jaca Book, 1980). Ed è da questa assimilazione e confutazione che la letteratura vive nella fantasia e nel mistero dei miti. Proprio per questo la universalità dei linguaggi letterari tocca il profondo degli uomini. Le etnie sono, dunque, una profonda dimensione della nostalgia. La nostalgia appunto è il tema dominante di una filosofia delle eredità della decadenza e dell’esistenza. Un percorso sgalabriano tra l’essere e il nulla.
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Pierfranco Bruni, nato in Terra Calabra cui è profondamente legato, vive tra Roma e la Puglia da molto tempo. Archeologo, antropologo, letterato e linguista, fecondo saggista e poeta è presidente del Centro Studi Francesco Grisi e vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani. Dal carismatico e sopraffine stile letterario, Bruni è alla seconda candidatura al Nobel per la Letteratura. Già Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali e componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’Estero, nel corso della sua carriera è stato docente in Sapienza Università di Roma ed ha appronfondito lo studio rivolto alla tutela e alla conoscenza delle comunità di minoranze etnico-linguistiche.@riproduzione riservata