“Tu esalti la mia forza e la mia speranza, ogni giorno. Il mio sangue aumenta, quando ti sono vicino, e tu taci. Allora nascono in me le cose che col tempo ti meraviglieranno. Tu mi sei necessaria”. Così Gabriele D’Annunzio nel romanzo “Il fuoco”.
È proprio vero che il “Il fuoco consumò la diva”? Come titola un recente reportage dedicato alle Grandi Coppie della Storia riferendosi a Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio.
È certo che non fu un rapporto soltanto amoroso, sentimentale e sensuale. Fu un amore impetuoso. L’impeto di un passato sentimento ottocentesco.
Sia Eleonora che Gabriele si sono portati dietro una relazione culturale radicata nella dimensione di fine Romanticismo. D’Annunzio non dimentica il Carducci dell’inizio del secolo nuovo, ovvero il Novecento.
La Duse trascina il teatro alfieriano, ovvero tragico, in una visione in cui il dramma e il melodramna diventano malinconia. Ma prima di D’Annunzio nella Divina ci sono stati altri amori e altre storie.
Arrigo Boito ha rappresentato il contatto con il Melodramma puro oltre ad aver intessuto una importante legame d’amore, ma non certamente il primo. Boito non fu il primo amore. Chiaro.
Teobaldo Tecchi fu un amore-consolazione dal quale ebbe una figlia con la quale mantenne un buon rapporto.
Ma il primo grande amore di Eleonora è stato Martino Cafiero. Il napoletano Martino Cafiero. Un amore travagliato, vissuto ardentemente, sessualmente. Con Martino Cafiero ebbe il primo figlio, il quale morì dopo qualche giorno. Una storia tragica. Tragicamente vissuta. Tra amore e teatralità.
Oltre questi aspetti, importantissimi e travolgenti nella vita della Duse, è D’Annunzio un riferimento che cambierà il vivere malinconico della Divina.
Restano famose le sue parole su Gabriele: “Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato”. Una frase lapidaria. Come resta tale quella di D’Annunzio quando apprende la scomparsa di Eleojora: “È morta quella che non meritai”.
Insomma gli amori restano legati, in Eleonora, alla letteratura, al teatro, ai salotti letterari, si pensi alla Napoli di Matilde Serao e, appunto, di Martino Cafiero. La Duse fu il teatro innovato. Anzi l’innovazione del teatro fu portato sulla scena da Eleonora Duse attraverso il personaggio, che fu persona e personaggio nello stesso tempo, ovvero lei stessa: attrice, creatrice, artista, rappresentazione, Divina.
Un intreccio comparativo alla cui base resta il legame tra vita e letteratura, arte e mistero, malinconia e melodramma. Sono incisi che fanno di Eleonora l’artista che rivoluzionò i modelli teatrali portandondoli nella modernità e rispettando la tradizione.
Dal personaggio che sulla scena ha la fisicità, la voce e il silenzio in una ribalta senza luci al personaggio che recita con le luci.
Due interpretazioni e due “maschere” all’interno del Novecento teatrale. Ma Eleonora Duse non è mai maschera. È sempre se stessa. Nella vita e sulla scena. Tanto da dire: “Se la vista di cieli azzurri ti riempie di gioia, se le cose semplici della natura hanno un messaggio che tu comprendi, rallegrati, perché la tua anima è viva”.
Proprio sulla base di questi elementi, vita, amore e teatro, stiamo portando avanti un progetto comparato per un centenario della morte di una attrice che inventò sulla scena i nuovi modelli della recita e della interpretazione nella modernità del personaggio e del destino del personaggio stesso.