Durante la Fiera del Libro di Taurianova (25-28 luglio 2024), Città Capitale Italiana del Libro, nell’ambito delle celebrazioni dusiane, si discuterà anche del Centenario della scomparsa di Eleonora Duse. Parteciperanno i rappresentanti del Comitato Nazionale del Ministero della Cultura e del Progetto Undulna. Una tematica di grande interesse: “Eleonora Duse tra Grazia Deledda, Sibilla Aleramo e la grecità di Alvaro”. Una lettura aperta straordinaria.
Sibilla Aleramo (ovvero Rina Faccio). Una poetessa nella femminilità degli incontri e degli spazi tra le parole e il tempo. Si ritorna a parlare della Aleramo in occasione delle celebrazioni del centenario della morte di Eleonora Duse tra la fisicità dell’amore e la metafora dell’amore stesso. In un saggio di Monika Antes si centralizza quasi tutto nel
titolo “Amo, dunque sono. Sibilla Aleramo, pioniera del femminismo in Italia” (pp. 144, euro 15) pubblicato da Mauro Pagliai nella collana “Italianistica nel mondo”. Si tratta di un volume pubblicato in Germania e tradotto e in italiano da Riccardo Nanini.
La poesia, con la sua epifania e con il suo misterioso giorno incastonato nella vita, resta sempre un indefinibile sentiero graffiato dalle parole e nelle parole. Ma sono le parole che danno vita.
La poesia, come il teatro della poesia che Eleonora Duse ha trivato in Gabriele d’Annunzio, è solitudine nel silenzio notturno o adamantino dell’ora antelucana.
Non so se Sibilla Aleramo è silenzio nella notte o silenzio nell’ora che annuncia l’alba. Molto dusiana in questo percorso.Un gioco non ad incastro. Ma un gioco, comunque, che sa di voci e di ritmi musicali. Siamo a volte al valzer e a volte al tango. Ovvero al tragico sul palcoscenico.
Ma Sibilla Aleramo sembra danzare i passi del tango in un giravolta in cui le parole sono lame e riposo. Quella poesia che è solitudine e grido non è una metafora ma un colpo violento assestato ai ricordi che però si dipanano lungo i giorni. E di ricordi la vita di Sibilla e di Aleramo, nonostante gli amori, è piena e sono questi ricordi che cessano la vita. Ma prima di essere ricordi le immagini e il vissuto sono stati viaggi nella vita. Quella di Eleonora è un costante viaggio tra città e interpretazioni. Restando sempre se stessa.
La poesia e la vita sono leggibili tra i fili di un erotismo sottile e pervasivo che resta intagliato nei gorghi delle giornate che si consumano con le battaglie della delizia.
“Fra il mio seno/e il petto forte che amo/sta una rosa,/sola”. Non la prosa dusiana che descrive, ma la poesia che travalica il movimentismo letterario per rendersi movimentismo esistenziale. Perché tutta la vita di Sibilla Aleramo è della Divina è un cercare non la parola che racconta ma il linguaggio che si fa diario.
Il suo romanzo dal titolo “Una donna” è una di quelle testimonianze emblematiche che lasciano il segno e lacerano la coscienza. Viene pubblicato nel 1906. Eleonora è già dentro il teatro ma senza urli. Bensì con la movenza del corpo, con i silenzi, con lo sguardo e le mani.
Aleremo era nata nel 1876 ad Alessandria. È morta a Roma il 13 gennaio del 1960. Una vita vissuta nella ricerca (o nella richiesta o nell’offerta) di un amore che lo si legge tra gli intagli del suo linguaggio.
Dall’incipit del suo romanzo: “La mia fanciullezza fu libera e gagliarda. Risuscitarla nel ricordo, farla riscintillare dinanzi alla mia coscienza, è un vano sforzo”. Recuperare una vita dentro la letteratura. Ma arte e letteratura per la Aleramo resta un binomio inscindibile perché in ogni goccia di vita e in ogni goccia d’amore vi campeggia sempre una profonda mobilitazione letteraria.
I suoi amori con Cardarelli, Campana, Cena, Papini, Gobetti sono frammenti di una esistenza che trova la sua compiutezza in un dialogo forte e pressante sempre con la letteratura. Bene ha fatto a sottolineare Silvio Raffo nel suo saggio introduttivo a Tutte le poesie (Mondadori, 2004). Infatti ha così sottolineato: “Se cerchiamo un modello letterario del ventesimo secolo in cui il binomio ‘ arte-vita’, per di più coniugato al femminile, si presenta e si mantenga inscindibile superando qualsiasi ostacolo e resistendo a qualsiasi tentazione di normalità, c’è solo un nome che soddisfa il nostro desiderio: Sibilla Aleramo”.
Eleonora Duse ha sofferto i suoi amori a cominciare da Cafiero sino a Gabriele, il quale racconta l’esistenza e il tempo della sua compagna di cinque anni più grande di lui.
D’altronde questa melodia o questa fragile tragedia diventa per Sibilla Aleramo è la Divina un viaggio che non è soltanto da chiamarsi amore (così come l’amore di Sibilla per Dino Campana) ma da definirsi nel contesto delle grandi inquietudini che hanno campeggiato nella agonia umanamente e letterariamente belligerante del ‘900. Ma è l’eros che è passione indefinibile che travolge la sua vita e la sua poesia. Tutto scompare e tutto riappare sotto quelle forme che sono insistenti penetrazioni del linguaggio.
Certo non ci sono dubbi, sono delle donne tango non valzer. Una donna attrazione fatale e come tale anche evanescenti, fuggevoli su un mare di onde di carta o di vento. Ti parlo con le parole dell’acqua in una dannunziana visione per Eleonora. Fuggente. Come la sua poesia o come le onde che invadono la
sua poesia che si fanno tenerezza ma anche angoscia, si fanno notte ma anche alba, si fanno luna e si fanno stella, per Sibilla.
Il suo amore immenso o l’immenso amore che cercava con Cardarelli, il poeta della malinconia, o con Campana, il poeta della follia…Malinconia e follia sono dentro quel pellegrinaggio disperante ma anche giocoso che è stato la sua vita-poesia o la sua poesia-vita. Si ascolta: “ Era il tuo riso/fuggente/come il lucido raso delle acque…”.
Ecco il verseggiare di Sibilla che non deve e non può cadere nel prosastico perché se così fosse svanirebbe tutta quella ebbrezza che custodisce il mistero di una sola parola. Aveva ragione Cardarelli quando in una lettera del maggio 1915 le aveva scritto : “…pensa che tu sei esalazione assoluta e che non puoi permetterti composizioni, per così dire, strofiche. Allora cadi nel vieto e nel falso…”. Eh si perché la rarefazione della parola trova nella esalazione il maggiore accento di quel rapporto tra arte e vita. Ciò le permette di non scivolare nella retorica perché la retorica appunto uccide la poesia. Bisogna parlare nel caso di Aleramo di bellezza inquietudine soprattutto quando si focalizza l’attenzione sulla poesia. Si ascolta: “…tu mio bene segreto, tu che mio non sei,/ tu alto sovra quanto amai,alto amore,/ e dal ungi il tuo sorriso di carità dolce/ vita e morte ugualmente mi illumina,/ colme e preziose di pianto e gloria”.
I suoi versi come i suoi amori. Il suo recitare e gli amori. I loro amori come i la loro vita poesua.
Da una lettera della Aleramo a Dino Campana : “ I nostri corpi sulle zolle dure, le spighe che frusciano sopra la fronte, mentre le stelle incupiscono il cielo” (risalente al 6-7 agosto 1916). Una donna immensa in una poesia ritagliata tra le pieghe della sua vita e degli amori. Amata e amante di Vincenzo Cardarelli, Giovanni Papini, Jullius Evola, Franco Matacotta. Dove finisce allora il tempo della parola e dove inizia il tempo della vita? Forse la certezza del dubbio infervora i cuori e lascia tutto sospeso come quel finale del suo romanzo Una donna, che sottolinea : “O io forse non sarò più…non potrò più raccontargli la mia vita, la storia della mia anima…e dirgli che lo ho atteso per tanto tempo?/ ed è per questo che scrissi. Le mie parole lo raggiungeranno”. Ma il suo pensare nella vita stava nella bellezza maledetta della vita stessa tanto che aveva posto come paesaggio questo inciso: “Io sono certa di vivere come devo. Questa certezza mi fa superiore alla maggioranza, ed e’ [una certezza] costante”.
La Duse: ““Se la vista di cieli azzurri ti riempie di gioia, se le cose semplici della natura hanno un messaggio che tu comprendi, rallegrati, perché la tua anima è viva”.
Quante somiglianze tra le due. Eleonora scrive: “Il fatto è che mentre tutti diffidano delle donne, io me la intendo benissimo con loro! Io non guardo se hanno mentito, se hanno tradito, se hanno peccato – o se nacquero perverse – perché io sento che hanno pianto – hanno sofferto per sentire o per tradire o per amare… io mi metto con loro e per loro e le frugo, frugo non per mania di sofferenza, ma perché il mio compianto femminile è più grande e più dettagliato, è più dolce e più completo che non il compianto che mi accordano gli uomini”. E il tutto è compiuto. Eleonora duse era nata nel 1858. È morta nel 1924.
Di questo e altro si discuterà a Taurianova, Città Capitale italiana del Libro 2024, durante l’importante kermesse Fiera del Libro. @riproduzione riservata
*Ordinaria di letteratura