Sant’Agata a Catania: tra spiritualità e devozione la terza festa al mondo

Le fasi della festa dal 3 al 5 febbraio di ogni anno. Il martirio di Sant'Agata vergine e martire di Catania nel Dipinto di Giovanni Tuccari (1667-1743 Messina) . L'affresco è collocato nella chiesa di San Benedetto di via dei Crociferi a Catania

Annalisa Crupi

Catania –  Una festa annuale per Sant’ Agata, patrona di Catania. La terza tra le celebrazioni più belle al mondo.
Catania offre alla sua patrona un omaggio straordinario paragonabile  alla Settimana santa di Siviglia o al Corpus Domini di Cuzco, in Perù. In quei tre giorni la città dimentica ogni cosa per concentrarsi sulla festa, misto di devozione, folklore e religione. Un milione di persone tra devoti e curiosi. sono ogni attirati dai festeggiamenti della patrona della città etnea. Il primo giorno è riservato all’offerta delle candele. Una suggestiva usanza popolare vuole che i ceri donati siano alti o pesanti quanto la persona che chiede la protezione. Alla processione per la raccolta della cera, un breve giro dalla fornace alla cattedrale, partecipano le maggiori autorità religiose, civili e militari. Due carrozze settecentesche, che un tempo appartenevano al Senato che governava la città, e undici “candelore”, grossi ceri rappresentativi delle corporazioni o dei mestieri, vengono portate in corteo. Questa prima giornata di festa si conclude in serata con un grandioso spettacolo di giochi pirotecnici in piazza Duomo. I fuochi artificiali durante la festa di Sant’Agata, oltre a esprimere spiritualità dei fedeli, assumono un significato particolare, perché ricordano che la patrona, martirizzata sulla brace, vigila sempre sul fuoco dell’Etna e su tutti gli incendi. 

Il 4 febbraio è il giorno più emozionante, perché segna il primo incontro della città con la santa Patrona. Già dalle prime ore dell’alba le strade della città si popolano di “cittadini“. Sono devoti che indossano il tradizionale “sacco” (un camice votivo di tela bianca lungo fino alla caviglia e stretto in vita da un cordoncino), un berretto di velluto nero, guanti bianchi e sventolano un fazzoletto anch’esso bianco stirato a fitte pieghe. Rappresenta l’abbigliamento notturno che i catanesi indossavano quando, nel lontano 1126, corsero incontro alle reliquie che Gisliberto e Goselmo riportarono da Costantinopoli. Ma l’originario camice da notte, nei secoli, si è arricchito anche del significato di veste penitenziale Tre differenti chiavi, ognuna custodita da una persona diversa, sono necessarie per aprire il cancello di ferro che protegge le reliquie in cattedrale: una la custodisce il tesoriere, la seconda ilcerimoniere, la terza il priore del capitolo della Cattedrale.

Quando la terza chiave toglie l’ultima mandata al cancello della cameretta in cui è custodito il Busto, e il sacello viene aperto, il viso sorridente e sereno di sant’Agata si affaccia dalla cameretta nel crescente tripudio dei fedeli impazienti di rivederla. 

Luccicante di oro e di gemme preziose, il busto di sant’Agata viene issato sul fercolo d’argento rinascimentale, foderato di velluto rosso, il colore del sangue del martirio, ma anche il colore dei re. Prima di lasciare la cattedrale per la tradizionale processione lungo le vie della città, Catania dà il benvenuto alla sua patrona con la solenne”Messa dell’Aurora“, celebrata da S.E. Mons. Arcivescovo. Tra i fragori degli spari a festa, il fercolo viene caricato del prezioso scrigno con le reliquie e portato in processione per la città. 

Sant’Agata Messa dell’Aurora 2025

Il “giro“, la processione del giorno 4, dura l’intera giornata. Il fercolo attraversa i luoghi del martirio e ripercorre le vicende della storia della “santuzza“, che si intrecciano con quella della città: il duomo, i luoghi del martirio, percorsi in fretta, senza soste, quasi a evitare alla santa il rinnovarsi del triste ricordo. Una sosta viene fatta anche alla “marina” da cui i catanesi, addolorati e inermi, videro partire le reliquie della santa per Costantinopoli. Poi una sosta alla colonna della peste, che ricorda il miracolo compiuto da sant’Agata nel 1743, quando la città fu risparmiata dall’epidemia. I “cittadini” guidano il fercolo tra la folla che si accalca lungo le strade e nelle piazze. In quattromila o cinquemila trainano la pesante macchina. Tutti rigorosamente indossano il sacco votivo e a piccoli passi, tra la folla, trascinano il fercolo che, vuoto, pesa 17 quintali, ma, appesantito di Scrigno, Busto e carico di cera, può pesare fino a 30 quintali. A ritmo cadenzato e agitando bianchi fazzoletti, gridano: “cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutticittadini, viva Sant’Agata“, un’osanna che significa anche: “sant’Agata è viva ” in mezzo alla folla. Il “giro” si conclude a notte fonda quando il fercolo ritorna in cattedrale. 

Sul fercolo del 5 febbraio, i garofani rossi del giorno precedente (simboleggianti il martirio), vengono sostituiti da quelli bianchi (che rappresentano la purezza). Nella tarda mattinata, in cattedrale viene celebrato il pontificale. AI tramonto ha inizio la seconda parte della processione che si snoda per le vie del centro di Catania, attraversando anche il “Borgo“, il quartiere che accolse i profughi da Misterbianco dopo l’eruzione del 1669.

Sant’Agata in processione lungo la salita di San Giuliano

Il momento più atteso è il passaggio per la via (Salita) di San Giuliano, che per la pendenza è il punto più pericoloso di tutta la processione. Esso rappresenta una prova di coraggio per i “cittadini”, ma è interpretato anche – a seconda di come viene superato l’ “ostacolo” – come un segno celeste di buono o cattivo auspicio per l’intero anno.

All’alba del giorno 6, il Fercolo con le reliquie giunge in via Crociferi. E’ il momento in cui la Santa saluta la città prima della conclusione dei festeggiamenti. Per tutta la notte, migliaia di cittadini in camice bianco sfidano il freddo della notte, gridando “Viva Sant’Agata“, in un momento denso di magia e spiritualità. A questo punto, mentre improvvisamente l’atmosfera si fa silenziosa, si eleva il canto angelico delle monache di clausura. L’origine del testo e della musica si perde nella notte dei tempi, anche se una leggenda tramanda che il suo autore fu un siciliano di nome Tarallo, che lo compose appositamente per le monache di clausura di San Benedetto.

 A notte fonda i fuochi artificiali segnano la chiusura dei festeggiamenti. Quando Catania riconsegna alla cameretta in cattedrale il reliquiario e lo scrigno, i sacchi bianchi non profumano più di bucato, i volti sono segnati dalla stanchezza, i muscoli fanno male, la voce è ridotta a un filo sottile. Ma la soddisfazione di aver portato in trionfo il corpo di sant’Agata per le vie della sua Catania riempie tutti di gioia e ripaga di quelle fatiche.

Bisognerà aspettare diversi mesi, la festa estiva del 17 agosto, o un altro anno (la festa del 5 febbraio), per poter vedere sorridere ancora una volta il viso buono della santa che fu martire per la salvezza della fede e di Catania. 

Il fercolo di Sant’Agata

Il fercolo o “vara” che trasporta le reliquie di sant’Agata patrona della città e dell’Arcidiocesi di Catania, è una pregevole opera di alta oreficeria catanese, custodita nella Sala Fercolo del Museo Diocesano.

Elegante nella sua semplicità, esso si presenta a forma di tempietto rettangolare sostenuto da sei piccole colonne corinzie, che reggono una ricca trabeazione sormontata da una copertura completamente ornata di mascheroni e fogliame disposti a scaglie.

Sulla sommità di questa armoniosa costruzione, la croce troneggia sul mondo (un globo), circondata dai simboli della verginità e del martirio: una corona, un giglio e una palma. Interamente in lamina d’argento, il fercolo presenta una decorazione ad arabesco, girali vegetali e fogliame, mentre lo zoccolo della base è rivestito di quadretti lavorati a sbalzo che raccontano episodi del martirio della Santa, il trasporto delle sue reliquie da Costantinopoli a Catania e i miracoli da lei compiuti.

 Nel 1519 iniziò l’opera Vincenzo Archifel arricchita poi da ornamenti dal figlio Antonio; nel corso dei secoli venne abbellita di nuovi addobbi: i marchi e le sigle sulle parti argentee testimoniano come nel tempo diverse maestranze, soprattutto catanesi e messinesi, si sono avvicendate nella realizzazione dell’opera che nel corso dei secoli ha subito diverse trasformazioni e danneggiamenti ultimo dei quali in seguito ai bombardamenti del secondo conflitto mondiale che ne ha determinato il totale rifacimento. 

Sfilata delle candelore alla festa di sant’Agata

La festa di Sant’Agata è inscindibile dalla tradizionale sfilata delle “candelore”,enormi ceri rivestiti con decorazioni artigianali, puttini in legno dorato, santi e scene del martirio, fiori e bandiere. Le candelore precedono il fercolo in processione, perché un tempo, quando mancava l’illuminazione elettrica, avevano la funzione di illuminare il passo ai partecipanti alla processione. 

Non potevano mancare i dolci legati alla tradizione della santa catanese. Oltre alla famosa calia e simenza, presente in ogni festa a Catania, vengono realizzati per la ricorrenza le ‘olivette’ e le”Cassateddi di Sant’Aita” o  “Minni di Sant’Aita“.

Le cassatelle simbolizzano le mammelle della santa strappatele nel martirio durante la persecuzione dei cristiani voluta dall’imperatore Decio (249-251) a Catania. Per avere rinunciato fino a costo della vita a professare la sua fede cristiana. Messa a morte Agata fu è una delle martiri e vergini più venerate dell’antichità cristiana.

Il martirio di Sant’Agata vergine e martire di Catania nel Dipinto di Giovanni Tuccari (attribuito)1667-1743 Messina. L’affresco è collocato nella chiesa di San Benedetto di via dei Crociferi a Catania, in posizione centrale della navata lungo la parete laterale di sinistra.

Il dipinto è stato rivestito con intonaco alla fine del Settecento e recuperato dopo la seconda guerra mondiale dal prof. Sebastiano Milluzzo che lo ha riportato alla luce dopo una delicata spicconatura

Al di sotto di esso al posto dell’altare è presente una grada in legno intagliato, al di là della quale si trova la “sagrestia interna”, luogo riservato al rito della professione monastica delle consacrate.

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