
Di Alicia Lopes Araújo
«Dico no ai discorsi, alle medaglie, alla fanfara e ai tamburi, alla sessione solenne, all’incenso (…) dammi la tua mano, la vita è così breve! (…) Mi siedo con te sulla panchina piastrellata all’ombra del mango, aspettando che arrivi la notte per ricoprire i tuoi capelli di stelle» Zélia de Euá avvolta nella luna. Qui in quest’angolo del giardino voglio riposare in pace quando verrà il momento, questo è il mio testamento».
Così scriveva in Navigazione di cabotaggio, poco prima di morire nel 2001, il celebre romanziere baiano e cantore dei diseredati – Jorge Amado alla moglie Zélia Gattai, memorialista brasiliana di origine italiana. Ai piedi del mango carlotinha, dove amavano trascorrere i pomeriggi, oggi sono sepolte le ceneri della coppia, unita in vita per cinquantasei anni.
Proprio da questa maestosa pianta tropicale, la Mangifera indica, piantata con le loro mani nel giardino alberato di una casa speciale nel cuore di Salvador de Bahia – che ha visto transitare (tra gli altri) Pablo Neruda, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir – vogliamo partire per introdurre Zélia Gattai Amadoe l’emigrazione italiana in Brasile (Isernia, Cosmo Iannone Editore, 2024, pagine 132, euro 15) di Antonella Rita Roscilli, brasilianista, giornalista e scrittrice nonché biografa ufficiale di Gattai.

Il volume raccoglie i frutti dell’intreccio di esperienze umane individuali e collettive: Roscilli ripercorre l’intera vita della poliedrica Zélia Gattai (1916–2008) inserendola in un affresco vivido della Grande emigrazione italiana oltreoceano, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo.
Grazie a documenti e testimonianze originali evidenzia i contesti socio-politici sia italiani sia brasiliani nell’ambito dei quali avvenivano le partenze e gli arrivi, come pure le ragioni dell’esodo, illuminando i valori di cui erano portatori molti emigranti di quel tempo e le difficoltà che furono costretti ad affrontare in terra straniera.
Valori e difficoltà – sottolinea Roscilli – incarnati anche dalle famiglie d’origine di Gattai: «I nonni materni, veneti e molto religiosi, giunsero in Brasile spinti dalla povertà per lavorare nelle fazendas di caffè, dopo l’abolizione della schiavitù nel 1888, mentre i nonni paterni fiorentini partirono per ragioni politiche, portando con sé i loro ideali. Questi ultimi si ritrovarono poi coinvolti a San Paolo nei movimenti operai socialisti e anarchici. Il padre di Zélia, accusato di essere sovversivo, subì il carcere e le torture durante la dittatura di Getúlio Vargas (1937–1945); la sua salute ne risentì al punto che morirà a soli 54 anni. “Tu sei la mia speranza” disse a Zélia, ultima di cinque figli, prima di spirare». E quella speranza lei iniziò a coltivarla nella militanza culturale e politica.
«La vita di Zélia Gattai Amado – rimarca l’autrice, che è stata sua ospite un mese per raccogliere frammenti di memoria familiare e privata che tessono una storia più grande – riflette ciò che ha respirato fin da bambina e da adolescente come nipote e figlia di immigrati, portatori di un sogno di libertà e di una maggiore giustizia sociale. È il risultato di questa Storia.
Le sue doppie radici hanno convissuto in modo molto armonioso. Con lei ho appreso per esempio proverbi, favole e storie italiane, che qui sono stati dimenticati. A riprova che l’emigrazione è stata importante anche come salvaguardia di valori, tradizioni e identità».
Fotografa, attivista, libera pensatrice, Gattai si scoprì scrittrice nel 1979, a sessantatré anni.
«Per molto tempo aveva battuto a macchina per il marito, aiutandolo nella revisione dei testi. “Fu tuttavia lo stesso Amado a incentivarla affinchè scrivesse, dicendole:” “Tu che sei figlia di emigranti italiani tu che hai vissuto le varie fasi di sviluppo di San Paolo e del Paese, potresti scrivere un libro memorabile. Però – la esortò – non fare come gli storici che scrivono da fuori a dentro. Il tuo libro, per come sei, dovrebbe essere da dentro a fuori, quindi scritto con il cuore. Da lì iniziò e non si fermò più”.
Per tre anni si immersero nella memoria, esordendo nel 1979 con Anarchici grazie a Dio, dal quale fu ricavata una fortunata miniserie per Rete Globo. Undici libri di memorie, tre favole, un romanzo e uno con fotobiografia sono il bilancio del suo lavoro di scrittrice. Sono sue anche le trentamila istantanee che si trovano nella Fondazione Casa di Jorge Amado. Il suo ruolo di memorialista, come spiega Roberto vecchi nella postfazione “è un tributo alle petites mémoires, un racconto che cerca di stabilire un legame tra il dettaglio e la totalità”.
Tradotto dal portoghese dalla stessa Roscilli (la prima edizione è del 2016) e dato alle stampe in Italia l’anno scorso in
occasione dei centocinquant’anni dalla prima migrazione italiana in Brasile, il libro offre una prospettiva unica, focalizzandosi su storie emblematiche come la Colônia Cecília nel Paraná (colonia socialista anarchica alla quale aderirono i nonni paterni di Zélia) o l’impegno degli italiani nelle leghe operaie e nelle lotte per i diritti civili. Inoltre riporta alla luce figure leggendarie tra cui Francesco Arnoldo Gattai, Giovanni Rossi e Oreste Ristori nonché fatti singolari come la condizione degli “schiavi bianchi”, «su cui — dice l’autrice — ancora troppo poco si è scritto, poiché i discendenti di italiani non amano parlarne».
Il volume riporta la testimonianza di un sopravvissuto alle piantagioni di caffè rientrato in Italia. Così denunciava in forma anonima nel 1898 le condizioni in cui versavano molti italiani: «Pure noi vediamo salpare pel nuovo mondo grandi piroscafi con a bordo centinaia e centinaia dei nostri lavoratori, spediti come merce a dar l’opera loro per private speculazioni: a rimpiazzare quei Schiavi Negri di ambo i sessi comprati in gran numero nell’Africa» (Nel Brasile.L’emigrazione gratuita, ovvero gli schiavi bianchi. Memorie di un ritornato).
«In seguito a un’inchiesta, che confermò questa situazione di schiavitù, furono bloccati i rapporti con il Brasile e venne emanato nel 1902 il decreto Prinetti che impediva la cosiddetta emigrazione sussidiata. Gli italiani potevano partire, ma a loro spese; molte famiglie sbarcavano però oltreoceano pesantemente indebitate».
«Ripercorrere la storia della diaspora italiana— prosegue Roscilli — significa anche sviscerare i motivi che spingono tuttora le persone a lasciare la propria terra con tanta sofferenza. Si pensa sempre all’arrivo, quasi mai al perché della partenza. I nostri compatrioti venivano incentivati a imbarcarci su carrette del mare. L’emigrazione, come affermava il ministro Sidney
Sonnino, costituiva una “valvo la di sfogo per la pace sociale”», emblematica di un rimedio di breve periodo alla disoccupazione e alla povertà estrema.
Dietro c’erano anche gli interessi di armatori e compagnie di navigazione italiane. «Il Brasile, a sua volta, mandava emissari
per reclutare intere famiglie destinate a popolare le immense terre, evitando che diventassero preda ai confini.
Questi migranti, nonostante il razzismo e lo sfruttamento subito, hanno avuto tuttavia l’opportunità di contribuire allo sviluppo del Paese, grazie alle politiche di inclusione, anche se non di rado dettate dalla necessità di “sbiancare la popolazione”.
Questo libro, con stile chiaro e rigore accademico, ha dunque il pregio di illuminare un percorso di integrazione e di coesistenza al quale è possibile rivolgersi per individuare, seppur in contesti storici e sociali diversi,orientamenti alle sfide che l’im migrazione attuale impone in un’Italia sempre più vecchia, i cui piccoli paesi sono sempre
più spopolati così come lo erano le terre d’oltreoceano.
Quasi una leggenda — dice Roscilli — è stata invece la vita di Zélia con Jorge Amado. «Insieme hanno sperimentato per cinque anni l’amaro esilio in Europa, durante il quale Amado divenne uno dei principali attivisti del Movimento mondiale per la pace». Al ritorno in Brasile hanno deciso di costruire una casa nel quartiere baiano di Rio Vermelho, divenuta spazio mitico che intreccia natura e letteratura, dove hanno vissuto quarant’anni ritmati dal ticchettio della
macchina per scrivere. Trasformato dopo la morte di Zélia in Memoriale aperto al pubblico, questo tesoro culturale celebra
la vita e l’opera di questa coppia di intellettuali, la cui eredità è custodita sotto l’ enorme mangueira nel cui frutto dorato Amado intravedeva l’incanto che si può cogliere nelle cose semplici della vita.
Fonte: L’Osservatore Romano
