Cosa sarà mai stata la filosofia nella lettura dei processi poetici e artistici tra Maria Zambrano, Manlio Sgalambro e Giovanni Gentile? Filosofi di formazioni e intrecci eterogenei in cui la fenomenologia diventa sì uno scavo ermeneutico ma ha una dialettica epistemologica complessa e diversificante.
Uno dei temi aggreganti, e comunque conflittuali, è l’attualismo. L’utilità dell’attualismo non è la metamorfosi della modernità. Sono filosofi che vivono, con caratteristiche dissolventi, la tradizione come fenomenologia dell’assurdo e dell’attesa.
Gentile nella sua Forma dell’arte applica un pensiero in cui l’essenza è più dell’estetica e il concetto di tempo è una memoria spirituale.
Sgalambro si infiltra nella modernità con gli strumenti dell’uomo misantropico che si confronta con il tramontare (Schopenhauer e Nietzsche sono riferimenti oltre a tutta la cultura greca e sicula-greca, al di là di ciò che spesso si delinea nella criticità del termine “siculo”, a partire da Gorgia, come più volte sottolineato) sino alla visione problematica dell’empietà.
Zambrano è dentro la metafisica dell’anima e la sua filosofia diventa un genere di confessione.
Ma mentre in quest’ultima il legame da Seneca a Plotino a Croce, addirittura, è un percorso epistemologico in Gentile la metafisica è lettura profondamente spirituale il cui senso è nella dimensione agostiniana e vichiana.
In Sgalambro il reale e il vero della metafisica sono epistemi di un antropos che vive nella civiltà come modello di un convivere con la fine.
Un raccordo in termini ermeneutici è rappresentato dal superamento della storia. Il dato ermeneutico è un sistema in cui superata la storia resta il tempo. Quello di Plotino, di Agostino, di Vico per poi compararsi con Heidegger, Bergson, Jaspers.
Un tempo spazio che non ha cronologia e, quindi, non ha orologio, bensì linguaggio e pensiero. Il linguaggio della filosofia è anche antropologia del pensare-pensiero.
Le ragioni della filosofia sia in Zambrano che in Gentile sono l’essere della vita nella speranza che abita l’attesa. In Sgalambro è la consapevolezza del tempo breve. Un sottosuolo nel quale Seneca campeggia ma lo stesso Seneca comunque è un Zambrano, la quale ha dedicato al filosofo spagnolo-romano un saggio emblematico.
In fondo le contraddizioni e i conflitti possono leggersi come una empatia disorganica tra Sgalambro e Zambrano. In Gentile Platone è discussione fondamentale. Ma Platone coinvolge con il “suono” della caverna sia Zambrano che Sgalambro.
Insomma tre filosofi portanti nel Novecento del pensiero che trovano in Emanuele Severino “la potenza dell’errare”. Meno certamente in Gentile ma sempre presente anche nel suo attualismo. In fondo: “Eterni sono ogni nostro sentimento e pensiero” (Emanuele Severino).
Il punto nevralgico è qui nonostante l’empietà di Sgalambro. Perché ci si trova a condividere l’affermazione gentiliana che dice: “La sola realtà solida, che mi sia dato affermare, e con la quale deve perciò legarsi ogni realtà che io possa pensare, è quella stessa che pensa; la quale si realizza, ed è così una realtà, soltanto nell’atto che si pensa”.
Se non tenessimo conto di ciò non avrebbe alcun senso la filosofia stessa. In Gentile, Zambrano e Sgalambro il pensiero di tramuta in espressione artistica, ovvero in atto creativo. Poesia e filosofia in Zambrano sono il codice del suo linguaggio. In Sgalambro è un trattato e una variazione. In Gentile l’essere del principio.
Dunque.
Un camminare sulle sponde della parola per fare del linguaggio quell’essere e quel tempo che accompagnano la vita dalle radici al labirinto delle età. Non si può dimenticare ciò che afferma Zambrano: “La nostra anima è attraversata da sedimenti di secoli, le radici sono più grandi dei rami che vedono la luce”. In quanto ci suggerisce Sgalambro: “Nello spirito vi sono ancora continenti da conquistare, scoperte e grandi viaggi”.
È in questo viaggiare che lo spirito del mondo si attraversa tra l’incompiutezza e l’attesa della compiutezza nel ciclo dell’esistere che abita l’esistente.
Photocover: M.Sgalambro-P.Bruni-M.Zambrano-G.Gentile
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Pierfranco Bruni è nato in Calabria e vive tra Roma e la Puglia. Scrittore, poeta, italianista e critico letterario, già direttore archeologo presso il Ministero della Cultura. Esperto di Letteratura dei Mediterranei, vive la letteratura come modello di antropologia religiosa. Ha pubblicato diversi testi sulla cristianità in letteratura. Il suo stile analitico gli permette di fornire visioni sempre inedite su tematiche letterarie, filosofiche e metafisiche. Si è dedicato al legame tra letteratura e favola, letteratura e mondo sciamanico, linguaggi e alchimia. Ha pubblicato oltre 120 libri, tra poesia saggistica e narrativa. È presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”. Ricopre incarichi istituzionali inerenti la promozione della cultura e della letteratura. Quest’anno con decreto del Ministero della Cultura Mic , è stato nominato Presidente della Commissione per il conferimento del titolo di “Capitale italiana del Libro 2024“. Recente è inoltre l’incarico assegnato sempre dal Mic di Componente dellaGiunta del Comitato nazionale per il centenario della morte di Eleonora Duse (21 aprile 1914 – 21 aprile 2024) e direttore scientifico nazionale del Progetto Undulna Duse 100.
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