Marilena Cavallo
Guardare attraverso le fessure del pensiero dell’ultimo “chierico”, come amava definirsi lo stesso Manlio Sgalambro, è una sfida vera e propria al pensare, che si interroga su se stesso.
“Io non sono un intellettuale, io sono un chierico. Intellettuale diventa colui che prende partito per valori estremamente politici. Il chierico, invece, è colui il quale si sforza di seguire valori che sono universali”.
Con queste parole nude e vere, “il fabbricante di chiavi”, definisce il suo ritratto intellettuale e morale, restando coerentemente un “fanatico della verità” da cogliere nei suoi “fragmenta”.
” Vaga per i mari come putrida barca/l’Impero, e io mi diletto a un verso/di Nerone “.
Vagare per i mari. Vagare tra i frammenti della “decadenza”. Un’immagine che solca il pensiero sgalambriano. Dalle reminiscenze della cultura pre-greca alle “res” del mondo greco-latino , che si inerpica sino al tragico di Nietzsche. Un legame questo, che penetra nella profondità della poesia, come atto non solo creativo, ma dato da un pensiero mai conciliante. Nel sentire “quel che di cupo e fatale c’è in fondo a ogni idea”, il “chierico” ritrova il rapporto tra antico e moderno, tra Occidente e Oriente.
Lungo questa linea si potrebbe collocare l’opera di Manlio Sgalambro. Affascinante il confronto che Pierfranco Bruni apre con Ariosto, Leopardi, Schopenhauer, Heidegger, Hesse, Spengler , Zambrano e tanti poeti e filosofi di ogni tempo.
Insomma ci troviamo accanto i libri di Pierfranco Bruni: “Il filosofo imperfetto” (2024), “Il sottosuolo dei demoni” (2023), “L’empietà del greco siculo”, 2024, “Il rumore delle onde”, 2024 e altri sono previsti per il 2025.
Comunque ritorniamo al discorso iniziato perché sempre viene apertamente dichiarata la scarna e asciutta verità che anche “il pensiero marcisce”.
Una visione filosofica, fondata sulla consapevolezza e divenuta racconto proprio attraverso i “frammenti di un poema”. In questa scelta il linguaggio della filosofia di Sgalambro si propone come una “dissacrante” eredità poetica. Mi sembra che questo sia un punto fondamentale da considerare: l’impoetico nei frammenti “pessimi” di poetica filosofica.
In Sgalambro è costante l’approccio “antipatico”, discorde, che distrugge per scoprire, frantuma per ritrovare un “grimaldello” con cui aprire alla verità.
“Io ho voluto essere sempre antipatico”, confessa candidamente in una intrigante intervista, rilasciata a Rita Fulco, che il filosofo chiama “piccola mia”.
Una domanda si impone. Manlio Sgalambro è un filosofo della crisi dell’Occidente? Il suo pensiero “anti-patico” spunta tra macerie e rovine.
E’ frammento.
Perché celebrare, allora, Manlio Sgalambro in un tempo di macerie e di “morte del sole”, si chiede Pierfranco Bruni all’interno del saggio? C’è da dire che il chierico-filosofo nasce dentro la impoetica poesia. In quella greca, ma anche medievale e sicula.
Il tutto è un labirinto in cui marcisce il pensiero? Andrà alla ricerca del “cielo stellato”?
Sarà parte integrante delle variazioni e dei capricci che si inchiodano in processi morali? Dirà: ” ‘Il cielo stellato sopra di me’ fu un grido di stupore. Ma il concetto senza emozioni è vuoto. Che mi importa di Kant? Io lo riempio di tristezza”.
Ebbene sì. La tristezza è un invito al viaggio.
Questo invito è, appunto, tra le pagine che il libro avanza in una consequenzialità di capitoli che si mostrano di una saldezza ragionata tra ricerca e pensiero.
Il saggio di Pierfranco Bruni dialoga con Manlio, considerando la filosofia del filosofo siculo come un attraversamento di un tempo che supera la storia e si riempie di domande.
Sono tante le provocazioni e le strade interpretative e il confronto con l’odiosamato Kant resta il cuore pulsante del saggio, un interloquire sul criticismo della ragione, oltre la metafisica dei costumi. Infatti, imprescindibile è la stessa posizione del filosofo tedesco: “La ragione umana, anche senza il pungolo della semplice vanità dell’onniscienza, è perpetuamente sospinta da un proprio bisogno verso quei problemi che non possono in nessun modo esser risolti da un uso empirico della ragione… e così in tutti gli uomini una qualche metafisica è sempre esistita e sempre esisterà, appena che la ragione s’innalzi alla speculazione”.
La ragione è altro rispetto a una forma di empatia con il pensiero. Questo viaggio da compiere nel rumore delle onde sembra che abbia raggiunto un orizzonte. La filosofia non ha limiti. Come il pensare il pensiero. Come il pensiero del pensare.
I frammenti di pensiero, che Bruni sceglie vogliono aprire alla lettura e alla interpretazione di quel “mondo pessimo” tutto sgalambriano.
In questo universo-isola il lettore di Sgalambro può intraprendere un sentiero, nella consapevolezza di essere dinanzi a un pensatore che ha coerentemente rifiutato ogni sistema statico del pensiero.
E allora buon viaggio! Anche seduti “in poltrona e davanti a una finestra”.
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Pierfranco Bruni è nato in Calabria.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, presidente del Centro Studi “Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.
Nel 2024 Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.
Per il Ministero della Cultura è attualmente:
• presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;
• presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;
• segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.
È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse”, presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.
Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.
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