“Sicuramente per alcuni questa quarantena è servita per riflettere, ad altri ha aumentato le ore di lavoro e di reperibilità. È cambiato il rapporto spazio-tempo, perché si è sempre collegati on line e si sono abbattute le barriere che avevamo prima, ad un certo punto chiudevamo la nostra giornata di lavoro e basta. Oggi siamo operativi ormai 12-13 ore al giorno, per alcuni la situazione è peggiorata. Consideriamo che in alcune famiglie ci sono entrambi i genitori che lavorano, i figli studiano a scuola o all’università, quindi devono coabitare tutti condividendo gli spazi e collegati con diversi terminali e in situazioni diverse”. Lo ha dichiarato il sociologo Francesco Pira, professore di comunicazione dell’Università di Messina, in un’intervista all’agenzia di stampa russa Sputnik, in un’ampia intervista pubblicate sulle pagine in italiano e tradotta in varie lingue, pubblicata nelle ultime ore e firmata dalla giornalista Tatiana Santi della redazione italiana.
“Ci sono comunque alcune ore – ha dichiarato all’agenzia russa il professor Pira – in cui prima ci dedicavamo ad uscire e a frequentare altre persone e ora invece le impieghiamo a riflettere. Stiamo sicuramente riflettendo su tante cose: sul nostro rapporto con la natura, con la fede, stiamo riflettendo sui nostri rapporti personali. Un grande sociologo polacco, Zygmunt Bauman, ha definito la nostra società “società liquida”. Probabilmente questa pandemia, quando finirà, ci farà capire che c’è la necessità di un bisogno di tornare a valori solidi”.
La pandemia provoca, si legge nell’articolo, paura e insicurezza nel futuro, ma ha anche permesso di rivalutare alcuni aspetti della vita che facevamo, fin troppo spesso da noi criticata. Una stretta di mano, un abbraccio, degli sguardi che si incrociano per strada, un sorriso ad uno sconosciuto durante una passeggiata. Molti gesti, dati per scontati, ora ci sembrano fondamentali, indispensabili. Sputnik ha chiesto al professor Francesco Pira quali sono i lati positivi della quarantena.
“Abbiamo più ore – ha risposto il sociologo- per coltivare il rapporto con noi stessi, per leggere, per studiare, per relazionarci con gli altri anche se in forma indotta. Ora comunichiamo attraverso le video chiamate, attraverso le telefonate che parzialmente abbiamo riscoperto. Abbiamo scoperto per la prima volta la preghiera fatta davanti ad un computer o ad uno smartphone. Abbiamo anche scoperto una importante speranza di ritornare a quella vita che ci sembrava così brutta e faticosa. Questo è un altro aspetto molto positivo. In questi giorni stiamo desiderando di ritornare alla vita che criticavamo”.
Anche se chiusi in casa possiamo essere felici ha domandato la giornalista al docente universitario italiano. “Felici è una parola grossa – ha concluso il professor Pira- la letteratura ci spiega che la felicità è un concetto utopico. In alcuni momenti eravamo sereni e questa serenità è venuta meno, perché siamo pieni di paura del virus, un nemico oscuro che non sappiamo combattere. La scienza, infatti, non ci ha ancora dato le giuste risposte. Abbiamo paura per la situazione economica, che è molto gravosa. Questa paura dell’oggi e del domani ci fa ripensare a quello che facevamo ieri con grande piacere. Facendo le dovute differenze, perché in questo il nostro Paese è molto diviso, al sud per esempio ci manca molto il contatto umano, per noi è importante abbracciarci, baciarci, toccare le persone. Ci manca la sensazione materiale del volere bene ad un’altra persona. Noi ci stiamo accorgendo della forza che possono avere alcuni gesti ora, nel momento in cui non lo possiamo fare”.
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