Matteo Renzi, premier italiano e presidente “di turno” della Ue, allontana scenari da guerra fredda puntando su nuove sanzioni affinché si blocchi l’escalation militare russa. Mediazione, quindi, la parola d’ordine al vertice NATO a Newport, Galles, appena concluso.
Le parole del segretario dell’Alleanza Rasmussen non lasciavano dubbi circa l’intenzione atlantica: “Mentre parla di pace, la Russia non ha fatto neppure un passo per la de-escalation” (4 settembre). Eccolo il passo. In serata il cessate il fuoco firmato a Minsk ha spento le prospettive di un imminente coinvolgimento militare occidentale.
I presidenti ucraino Petro Poroshenko e russo Vladimir Putin hanno constatato, nel corso di un colloquio telefonico, che il “cessate il fuoco” è stato rispettato (6 settembre), parole quindi che smorzano le tensioni dei giorni scorsi. Mosca, comunque, fa intendere che in caso di nuove sanzioni economiche dell’Unione europea la Russia non starà, di certo, ferma a guardare. Una risposta all’accordo degli ambasciatori dei 28 paesi membri Ue per l’adozione di nuove sanzioni economiche contro Mosca, adottate formalmente lunedì 8 settembre con procedura scritta.
E’ probabile che Putin, uomo politico accorto, voglia continuare a detenere il possesso palla in una partita dove chi attacca per primo potrebbe farsi molto male. Ipotesi? Prolungare il “tira e molla”, cui il presidente russo è un maestro, e arrivare ai tempi di recupero: l’inverno. Già, il periodo dell’anno peggiore per chiunque voglia “bisticciare” con la Madre Russia. Memori delle sconfitte, cocenti, di Napoleone Bonaparte (1812) e Adolf Hitler (1941) rischiamo, noi europei, di vederci chiuso il rubinetto energetico da Mosca.
Alle sanzioni europee, infatti, la Russia potrebbe rispondere con un taglio delle forniture di gas che ci farebbe sprofondare in un gelido inverno nel quale non potremmo più riscaldare le nostre case, far funzionare le nostre industrie e riscaldare i nostri pasti. Ma ne siamo proprio sicuri? Rovesciamo allora la “vulgata più gettonata”: chi pagherebbe di più per questa scelta sarebbe proprio la Russia. Due motivi: il primo è che l’Europa da diversi anni non è più così dipendente dal gas russo e la seconda è che la Russia è almeno altrettanto dipendente dai ricavi che ottiene dalla vendita del gas.
I principali paesi europei sono dipendenti dalle importazioni di gas russo per una quantità non superiore a circa un terzo del totale (il paese più dipendente è la Germania, con il 39 per cento, segue l’Italia, con il 19 per cento, mentre Spagna e Regno Unito fanno completamente a meno del gas russo). Non solo: sul mercato oggi sono disponibili molti più fornitori di gas rispetto al passato. Come ha scritto su Forbes Christopher Coats, esperto di questioni energetiche, un’interruzione delle forniture russe porterebbe certamente ad un incremento dei prezzi, ma gli Stati europei potrebbero continuare a rifornirsi da paesi come Norvegia e Algeria. Il recente boom dello “shale gas” negli Stati Uniti, infatti, ha “liberato” una serie di produttori di gas che ora sono in cerca di mercati dove vendere il gas che non viene più acquistato dagli americani. Intrecci economici difficile da sciogliere ma che “sbatteranno” presto contro i venti di guerra e le accuse reciproche di questi giorni. Intanto il perdurare del conflitto nell’Ucraina orientale, in particolare nelle aree di Donetsk, Luhansk e nelle città limitrofe, ha costretto un numero crescente di persone ad abbandonare le proprie case, aumentando il bisogno di aiuti umanitari. Il numero di persone sfollate all’interno dell’Ucraina è più che raddoppiato nelle ultime tre settimane. Al 1 settembre l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) stimava che vi fossero 260mila sfollati rispetto ai 117mila calcolati al 5 agosto. Al 1 settembre, secondo le autorità ucraine vi erano 2,2 milioni di persone rimaste nelle aree di conflitto.
Nella regione di Donetsk le autorità locali hanno riferito che da martedì scorso circa 10mila persone hanno abbandonato Mariupol per raggiungere Zaporizhzhia, Berdiansk e altri luoghi, a seguito delle azioni militari delle forze anti-governative a Novoazovsk. A causa dei bombardamenti in corso, le persone rimaste nelle zone di conflitto hanno un accesso limitato a cibo, acqua e altre necessità di base. A Yasynuvata, circa 150 persone, tra cui molti anziani, avrebbero trovato riparo in scantinati privi di elettricità. Altri sfollati stanno arrivando con risorse limitate e un maggior bisogno di aiuto. Sarà necessaria ulteriore assistenza in vista dell’approssimarsi della stagione invernale. Riguardo ai flussi migratori all’esterno dell’Ucraina, nel mese di agosto circa altri 66mila ucraini hanno richiesto lo status di rifugiato o l’asilo nella Federazione Russa.
Secondo il Servizio federale per le migrazioni della Federazione Russa, dal 1 gennaio sono 121.190 gli ucraini che hanno richiesto lo status di rifugiato o l’asilo temporaneo.
L’UNHCR continua a sostenere il governo locale e la società civile e a fornire assistenza diretta ai più vulnerabili. Ad oggi, ha distribuito oltre 150 tonnellate di aiuti umanitari nelle regioni di Donetsk e Kharkiv, dando accoglienza a oltre 100mila sfollati.
Questa l’altra “faccia” della medaglia.