Dopo Montecassino, avanzando con in testa “Vivere”

Per i soldati polacchi la Campagna d’Italia non fu solo battaglie e morti. Ricordarlo per consolidare il sentire europeista.

Immagini:[i]Montecassino-Cimitero polacco in costruzione per i 1052 caduti
Montecassino-Ruderi del monastero dopo i bombardamenti e la battaglia[/i]

L’esuberante Maggio mediterraneo non aveva mancato di disseminare di rossi papaveri neppure le pendici di Montecassino, arse e imbrullite dai bombardamenti di marzo e i soldati polacchi, ancora intirizziti nel cuore dal freddo asiatico, poi da quello dell’inverno in Val di Sangro e nei buchi-rifugio scavatisi sui sentieri di San Benedetto, non
ebbero neppure il tempo di avvedersene, che si ritrovarono immersi nell’estate napoletana delle libere uscite, nella baldoria della assolata Roma liberata e nella ubertosa provincia di Campobasso per il riposo, prima della dislocazione sulla Linea Adriatica.

Sì, il cammino di guerra non era ancora finito, ma la vittoria di Montecassino aveva spezzato l’incantesimo che li ipnotizzava nella rivalsa sugli storici nemici, ora esorcizzato dall’incanto benevolo del paesaggio italiano, di più, complice la bella stagione. Crollata la maligna tensione della battaglia di Cassino, l’esercito dilagava, aprendo gli occhi e i sensi ai luoghi, ed era come se li vedesse per la prima volta, come passando dal buio alla luce, dal grigiume, ai colori brillanti.

[i]Quando lungo il cammino di guerra il sole magheggia
Davanti a noi distendendo meravigliosi brillanti colori,
Tratteniamo il nostro andare. L’incanto cattura gli occhi
E sole le labbra sussurrano:[/i]
O Italia bella!

Così inizia Italia Bella, che, malgrado il titolo, è stata composta nel 1944 in lingua polacca da Jan Olechowski, poeta, saggista, romanziere, giornalista, commentatore politico di Radio Free Europe. Già collaboratore delle pubblicazioni per l’esercito, Olechowski dopo la guerra ha lavorato presso il Dipartimento di cultura e l’istruzione dell’esercito polacco a Roma e ha scritto su «Iridion», rivista d’opinione in lingua italiana, che si indirizzava ad un lettore colto.

Nel 1944 Jan Olechowski era combattente in Italia con il 2nd Carpathian Rifle Brigade del II Corpo polacco, e aveva partecipato alla Battaglia di Cassino. Il sentimento che pervade questo suo componimento è lo stesso che ritorna in molte biografie e memoriali, indipendentemente dalla cultura dei singoli, così che, nella forza del verso poetico si sublima il sentire in quel passaggio storico di tutti i polacchi combattenti in Italia.

Questa lirica fa parte della raccolta "Prost? jak sosna wyrosn??. Poezje", e fin dal titolo (tr. it. Semplice come crescere un pino), con l’uso della metafora del pino, la più rappresentativa pianta mediterranea e la sua spontanea esuberante crescita, rimanda alla mutata psicologia di questi combattenti. C’è la fascinazione per i luoghi, l’acquisizione di elementi culturali italiani, ma soprattutto la voglia di essere felici. Come per il pino, l’essere umano ha avuto impresso dalla Natura dei ritmi di crescita che nessuna condizione contingente può inibire a lungo. Nel titolo di questo poema, invece, diventa esplicito l’omaggio all’Italia, alla sua bellezza catalizzatrice della spinta vitale di quei giovani, anche se non sfugge il vezzo culturale di voler infarcire l’opera con dei prestiti linguistici.

[i]Interrompe il cammino il giorno da un giardino fiorito
E inebria di profumi nello scintillio del sole
La scura notte – ballerina ci travolge col fascino
D’un corteggio d’ombre lunari[/i]

Ora il cammino per il soldato polacco, mentre si fa più spedito verso il pieno successo bellico, diventa più arduo nel tratto da percorrere dentro se stesso, perché è difficile capire cosa è questa nuova voglia di amare, di divertirsi, e se pure non viene meno il dovere, pesa il tumulto che il cuore sente di fronte ad una Natura che richiama a ritmi di vita differenti, ad atmosfere e affetti familiari.

[i]E ora non so più nulla, non capisco, cara,
Se nei vostri occhi brillano strani mondi,
O se il cielo all’improvviso s’è posato su di noi,
Se i nostri volti ha velato l’azzurro Adriatico? [/i]

Le quattro quartine si snodano sull’immagine del “cammino”, fortemente simbolica della singolare vicenda del 2° Corpo polacco, e questo avanzare, pur non interrompendosi, mostra squarci nella psicologia del soldato, nella accettazione acritica della filosofia del sacrificio. L’incanto della Natura e quell’attitudine italiana ad una scanzonata visione della vita comincia a fare il suo lavorio dalle note della canzone di Bixio, Vivere, in voga dalla fine degli anni Trenta e continuamente trasmessa alla Radio. Il poeta mostra di conoscerla e di averne ben chiaro il messaggio: Vivere, vivere a dispetto di tutto. Vivere senza nostalgia per ciò che è stato, per ciò che si è perduto. La vita è bella ed è solo da vivere.

[i]Ripartiamo per il frastuono della guerra mondiale
Fissando il fascino che svanisce alle nostre spalle
Ci segue solo la canzone di ardente felicità: [/i]
“…Vivere, vivere, senza nostalgia!…”

L’ultimo verso è la citazione del refrain della canzone stessa, dunque in italiano. È come un grido; sembra di ascoltare Olechowski cantare durante una marcia o negli spostamenti su un carro Dodge e, come lui, tanti suoi compagni d’armi lungo le strade, nelle città e nei villaggi italiani. Le due culture non hanno faticato ad incontrarsi, da numerosissime testimonianze, sappiamo che i soldati polacchi sono stati realmente felici in Italia. Oltre a coloro che dopo la guerra vi sono rimasti, sposando delle ragazze italiane, tutti hanno avuto caro il ricordo di quel periodo, di quei turbamenti, quasi una adolescenza ritardata dalla fredda stagione di guerra.

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