La Cop 21 partita ieri 30 novembre a Parigi, dove sono riuniti leader 150 Paesi mondiali, nell’unanime intento dii salvare il Pianeta, non è soltanto un appuntamento decisivoper giungere finalmente ad azioni condivise dall’intera comunità internazionale capaci difermare l’”escalation” dei cambiamenti climatici. La Conferenza Onu sul clima di Parigi per il luogo e il momento in cui si svolge, è molto di più.E’ il simbolo di una sfida vitale per tutta l’umanità, di una sfida che ha molto a che fare sia con i drammi e le tragedie che negli ultimi mesi hanno investito l’Europa, sia con l’obiettivo di salvaguardare la sicurezza e il benessere di noi europei e di assicurare all’Unione europea un ruolo da protagonista nel mondo globalizzato.
Il presidente francese François Hollande, ha sottolineato, “che la lotta a terrorismo e il cambiamento climatico insieme sono due grandi sfide che dobbiamo affrontare perché ai nostri figli dobbiamo lasciare di più che un mondo libero dal terrore, un pianeta preservato dalle catastrofi e sostenibile”.
Il riscaldamento globale è un grande problema umanitario: se la Terra
continuerà a riscaldarsi, fra pochi anni il numero dei “profughi climatici”, cioè delle
persone costrette a lasciare i propri luoghi di vita perché resi letteralmente invivibili dagli
effetti dei cambiamenti climatici, diventerà talmente alto da fare impallidire gli attuali
flussi migratori da Sud verso Nord; e poiché la parte del mondo ambientalmente e
socialmente più esposta alle conseguenze del “global warming” è l’Africa, inevitabilmente
quest’ulteriore e più intenso flusso di umanità disperata si riverserà soprattutto
sull’Europa.
Il “green new deal” – necessario per fermare i cambiamenti climatici – rappresenta, anche
per l’Europa, una grande speranza e un’importantissima occasione economica: superare
l’epoca dell’energia fossile e aprirne una nuova fondata sulle energie pulite vuol dire
assestare un colpo mortale all’economia del terrore, basata proprio sul petrolio, che
alimenta il terrorismo islamista; vuol dire immergersi in una “rivoluzione” tecnologica ed
economica da cui l’Europa – povera di petrolio, ricca di fonti rinnovabili, ricchissima di
capacità tecnologica – ha tutto, assolutamente tutto da guadagnare.
Cop 21 significa che da oltre venti anni, dall’”Earth Summit” di Rio de Janeiro del 1992, il
tema dei cambiamenti climatici, di come mitigarli e come adattarvisi, è nell’agenda della
politica internazionale.
Questi venti anni non sono passati invano: oggi è largamente diffusa la consapevolezza
che il “riscaldamento globale” non è più solo una minaccia, una possibilità, ma è una
realtà, una realtà che già comporta costi ambientali, economici, sociali pesanti per
l’intera umanità. Vi sono stati i rapporti degli scienziati dell’Ipcc, fino al più recente
pubblicato alla fine del 2014, che hanno certificato al di là di ogni ragionevole dubbio che
sono in atto cambiamenti climatici di dimensioni molto rilevanti, inedite per la civiltà
umana degli ultimi millenni, e che tale fenomeno è attribuibile in misura prevalente a
cause antropiche, cioè all’aumento delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera a sua
volta causato dalla combustione dei fossili – petrolio, carbone, gas naturale – e dalla
deforestazione nelle grandi foreste pluviali. Vi è stato il Protocollo di Kyoto sottoscritto da
120 Paesi – tutti i più importanti ad eccezione degli Stati Uniti – che ha avviato in
particolare l’Europa su un cammino virtuoso di riduzione delle emissioni di gas serra e di
riconversione del proprio sistema energetico nel segno dell’efficienza e delle fonti
rinnovabili. Vi è stato recentemente l’accordo bilaterale con cui Cina e Stati Uniti – i due
principali emettitori di gas serra – hanno formalizzato la comune volontà di darsi obiettivi
stringenti e vincolanti per la riduzione delle rispettive emissioni.
Vi è stata, con il suo altissimo valore simbolico, l’enciclica “Laudato Si” di Papa Francesco, che per la prima volta con tanta forza e chiarezza schiera la Chiesa tra i più lucidi e autorevoli protagonisti dell’impegno per stabilizzare il clima.
Tutto questo è molto, ma è molto meno di ciò che serve per mantenere l’aumento delle
temperature medie entro 2 gradi centigradi, soglia oltre la quale i danni portati dal
“global warming” sarebbero irreversibili e disastrosi.
La Cop 21, per non fallire, deve concludersi con un accordo condiviso e vincolante, che
fissi obiettivi certi e ambiziosi per la riduzione delle emissioni di gas serra, ne sostenga la
realizzabilità con un adeguato quadro di impegni finanziari in particolare nel settore degli
investimenti tecnologici e nelle forme di incentivazione rivolte a promuovere sia la
domanda sia l’offerta di energie pulite, adotti una strategia di adattamento in grado di
fronteggiare gli effetti non più evitabili dei cambiamenti climatici.
Tutti i rapporti scientifici indicano che solo accelerando la transizione dalle energie fossili
alle energie rinnovabili e rafforzando l’impegno per migliorare l’efficienza negli usi
energetici, sarà possibile impedire che il “riscaldamento globale” superi la soglia critica
dei 2 gradi centigradi ed esponga così l’umanità a danni irreparabili.
Questo traguardo si può centrare solo se la Cop 21 avrà successo e, perché ciò accada, è
indispensabile che l’Unione europea si presenti a Parigi non come un “condominio”
confuso e litigioso di Paesi che seguono ciascuno loro logiche autonome, ma come un
unico attore sulla scena di questo negoziato decisivo. E solo se diverrà rapidamente una
“casa comune”, l’Unione europea avrà la forza di sviluppare dentro i propri confini
politiche efficaci che ne orientino la grande capacità tecnologica e di ricerca e sviluppo,
gli investimenti pubblici e privati verso l’obiettivo prioritario della conversione energetica.
Perché la Cop 21 non fallisca serve dunque un’Unione europea che s’impegni con
determinazione e voce unanime per giungere “qui e ora” ad un trattato vincolante e
ambizioso, e che a questo scopo vinca le resistenze di quei Paesi – la Polonia, molti Paesi
dell’Est, lo stesso Regno Unito – meno disposti ad accelerare nella “decarbonizzazione”
delle rispettive economie. Occorre che, com’è avvenuto in passato, l’Unione europea si
impegni a rispettare al suo interno obiettivi di risparmio energetico, di riduzione dei gas
di serra e di sviluppo delle energie pulite quantitativamente e qualitativamente coerenti
con le indicazioni – più ambiziose di quelle oggi sul tavolo di Cop 21 – date dall’insieme
della comunità scientifica internazionale.
In Europa e anche nel resto del mondo la scelta di abbandonare l’energia fossile
conquista sempre più spazio. Nel settembre 2015, i disinvestimenti finanziari dal settore
dei combustibili fossili hanno toccato la cifra record di 2.000 miliardi di dollari.
Parallelamente, crescono il peso energetico e la forza competitiva dei settori legati alle
energie rinnovabili. La conversione ecologica dei sistemi energetici, punta avanzata di un
“green new deal” molto più ampio e altrettanto vigoroso che vede la trasformazione in
senso ecologico delle produzioni e dei consumi, è un processo fortunatamente in atto e
un processo irreversibile. Compito della Cop 21 è agire perché i tempi dei cambiamenti
climatici in atto non corrano più veloci di questa transizione.
Per tutte queste ragioni, il Movimento europeo in Italia aderisce all’appello per la giustizia
climatica promosso dalla Coalizione Italiana per il Clima ed ha partecipato alla marcia per il clima del 29 novembre in varie città del mondo.
dal Movimento europeo
Consiglio italiano