Il giorno è arrivato. Oggi, presso la casa della Commissione europea di Bruxelles (Berlaymont), si consumerà il primo atto del negoziato più discusso degli ultimi anni: la Brexit prenderà ufficialmente il via. Il divorzio tra Londra e l’Unione, sancito lo scorso anno di 23 giugno prende forma e inizia il suo percorso amministrativo nelle stanze del Berlaymont. La notifica dell’articolo 50 del Trattato – richiesta formale di addio – è arrivata solo il 29 marzo, poi il voto anticipato e la dura débâcle della May, infine l’incertezza politica che oggi regna sovrana in tutto il Regno Unito. La crisi di sistema è evidente, il team guidato da David Davis arriva quindi “indebolito” dalle sicurezze via via erose dall’esito del voto di pochi giorni fa. Dal canto loro, gli europei, sperano che il nuovo esecutivo May non venga formato, proprio per continuare a lavorare con un partner politico più solido e affidabile. In particolar modo a Bruxelles si teme che un nuovo governo formato da Theresa May possa collassare a trattative in corso, cancellando e interrompendo tutti i progressi da oggi in avanti. Il rischio? Arrivare al 2019 senza un accordo. Soluzione che complicherebbe i piani sia dell’Unione sia di Londra e che comporterebbe gravi ripercussioni politiche ed economiche. Insomma, un bel rebus da sciogliere o, se preferite, una matassa difficile da sbrogliare, e siamo solo all’inizio. A Bruxelles però sono già stati predisposti i prossimi “passi” per condurre il Regno Uniti fuori dell’Unione, innanzitutto il calendario. Il negoziatore Michel Barnier, francese, ha le idee molto chiare: chiudere il prima possibile la pratica di divorzio, poi parlare dei futuri rapporti con Londra. L’addio, come scritto più volte, consiste in particolar modo in tre punti fondamentali: i diritti dei tre milioni di cittadini europei residenti nel Regno, l’assegno di addio chiesto a Londra che varia dai 60 ai 100 miliardi di euro, la gestione dei nuovi confini tra Gran Bretagna e Unione. L’Ue chiede infatti un diritto di residenza a vita per tutti i cittadini europei residenti nel Regno Unito, poi un sostanzioso “assegno” da Londra per coprire tutti gli esborsi finanziaricompreso il trasferimento delle due agenzie Ue (Ema ed Eba) da Londra, e le future pensioni dei funzionari britannici nelle istituzioni europee, infine si punta ad evitare il ritorno di una frontiera fisica che potrebbe creare nuove tensioni tra Dublino e Belfast gestendo l'ingresso dei prodotti e delle persone in Europa tramite una dogana virtuale sparsa sul territorio irlandese grazie all'uso massiccio della tecnologia. Il funzionario francese proverà a gestire i tre dossier attraverso tre appuntamenti negoziali da quattro settimane ciascuno, l’obiettivo? Chiudere entro ottobre-novembre 2017 con la possibilità di trattare i futuri rapporti Ue-Uk nel corso dei primi mesi del 2018. Rimane l’incognita di politica interna prettamente british a destare preoccupazione. Chi guiderà il nuovo governo britannico? Lo status della City sarà un altro dei nodi della seconda parte dei negoziati, che dovranno regolare anche tutti gli altri settori che legano gli ex partner. Certo è che l’eventuale conversione ad una soft Brexit aiuterebbe i negoziati: se Londra restasse nel mercato unico e nell’Unione doganale l'accordo sarebbe molto più semplice. Una corsa contro il tempo. Intanto ieri gruppi di dimostranti si sono radunati nel centro di Londra per protestare contro l’ipotesi di un sostegno ai tory degli ultra-conservatori nord-irlandesi del DemocraticUnionist Party, stampella a questo punto insostituibile del governo di minoranza della premier designata, vista la batosta elettorale subita alle ultime elezioni politiche.
Sempre ieri un furgone è piombato su un gruppo di fedeli musulmani a Finsbury Park a nord di Londra. Una persona è morta e una decina sono rimaste ferite, tre delle quali sono gravi. Sono tutti musulmani. Seven Sisters Road, zona dove ci sono almeno quattro moschee, è il teatro dell’ennesima barbarie che coinvolge le città occidentali e vede ormai i paesi europei completamente assorbiti da una guerra silenziosa.