Secondo il calendario originario, il 19 giugno, segna la partenza ufficiale del lungo processo negoziale per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (UE). Di fatto, l’avvio concreto dei negoziati è legato alla complessa evoluzione della situazione politica interna. L’esito delle elezioni di inizio giugno, indette dalla May con l’obiettivo di rafforzare la propria posizione, ha invece sancito una significativa sconfitta dei conservatori che hanno perso 12 seggi mentre i Laburisti ne hanno guadagnati 31 (si confronti grafico). I Tories ora potranno continuare a governare solo accettando di formare un governo di coalizione. Ad oggi proseguono i colloqui tra il primo ministro May e il Democratic Unionist Party dell’Irlanda del Nord (DUP) con l’obiettivo di chiudere a giorni un accordo di governo. Dal lato dell’Unione Europea (UE), la posizione sembra quella di offrire un pacchetto simile a quello di altri paesi europei, come la Norvegia. Tale soluzione non è priva di criticità dal momento che implicherebbe per il Regno Unito la necessità di adeguarsi anche in futuro alla normativa europea in diversi ambiti, oltre che di recepire il principio della libertà di movimento delle persone. Un altro nodo rilevante riguarda i conti di “fine rapporto”: l’UE chiede infatti al Regno Unito di rispettare gli obblighi finanziari assunti con l’ultimo bilancio comunitario. Per il Regno Unito la principale implicazione negativa è che il difficile equilibrio politico interno può accrescere l’incertezza in merito alla condotta dei negoziati di Brexit, soprattutto in termini di definizione della strategia negoziale. Nell’interpretazione dei mercati l’idea prevalente, al momento, è quella che un’hard Brexit possa essere evitata.
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