Sì alla ricollocazione obbligatoria dei richiedenti asilo, salvato il sistema delle quote fra Stati Membri

La Corte di Giustizia Europea respinge il ricorso dei paesi dell’Est e ribadisce il principio di solidarietà fra gli Stati Membri

“Il Consiglio può costringere gli stati membri a dar prova di solidarietà e ad assumersi la loro parte di responsabilità al fine di far fronte a una situazione di emergenza”, così si legge nella sentenza di ieri 6 settembre con la quale la Corte di Giustizia Europa ha respinto il ricorso presentato da Slovacchia e Ungheria contro il sistema di ricollocazione obbligatoria delle quote dei richiedenti asilo. La decisione è da considerarsi molto rilevante perché affronta una duplice crisi: quella dei migranti da un lato e quella interna all’Unione Europea dall’altro.

 

Nel 2015 il Consiglio Europeo ha deciso di redistribuire quote obbligatorie di richiedenti asilo fra tutti gli stati membri, in maniera tale da alleviare la pressione su stati come l’Italia e la Grecia.

A votare contro tale decisione furono la Romania, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l’Ungheria, queste ultime hanno fatto ricorso alla Corte per ottenere l’annullamento della decisione stessa e sono state poi affiancate in questo proposito anche dalla Polonia.

 

Il primo ministro ungherese, il conservatore Viktor Orbán, non ha accettato un solo richiedente asilo dal 2015 a oggi e sul tema ha anche indetto un referendum nell’ottobre 2016, referendum che però non ha raggiunto il quorum. È interessante comunque sottolineare come fra i votani, ovvero il 43,23% degli aventi diritto, ben il 98% si è espresso contrario al programma di Bruxelles.

Anche l’Austria nel marzo del 2017 aveva chiesto un’esenzione dal piano di redistribuzione.

 

Fra le motivazioni addotte dai paesi dell’Est ritroviamo anzitutto la certezza che accettare i migranti voglia dire esporsi al rischio di subire attentati terroristici.

Inoltre Ungheria e Slovacchia negano che ci siano i presupposti per applicare il meccanismo solidale in ambito migratorio perché dato il persistere negli anni del fenomeno e la sua natura costante non si può parlare di “situazione di emergenza”.

Inoltre, sempre secondo questi paesi, anche se l’emergenza esiste non è imputabile ai flussi migratori ma all’incapacità dei sistemi di accoglienza di Grecia e Italia, che non hanno saputo gestire efficacemente la situazione.

 

Slovacchia e Ungheria insistono anche sul fatto che il provvedimento di redistribuzione è eccessivamente invasivo dal punto di vista politico, mina la sovranità stessa degli Stati, i quali dovrebbero poter decidere su base volontaria se aiutare o meno i paesi in difficoltà.

La Polonia poi ha anche aggiunto motivazioni di ordine pubblico e sicurezza interna affermando che i migranti potrebbero turbare l’insieme dei cittadini che, come quelli polacchi, sono “pressoché omogenei etnicamente” e quindi difficilmente incompatibili con i richiedenti asilo.

 

La Corte Europea però non la pensa così e afferma che si tratta invece di una “catastrofica situazione umanitaria”, con una portata migratoria tale da mettere in crisi qualsiasi sistema, anche il più solido e strutturato. Esistono quindi perfettamente le condizioni per applicare il principio di solidarietà nei confronti di Italia e Grecia.

Inoltre la Corte ha respinto ogni argomento connesso a questioni di “origine etnica” affermando che sono “con tutta evidenza, contrarie al diritto dell’Unione” perché contrastano la tutela dei diritti fondamentali.

 

Il messaggio della Corte è chiaro dunque ed è un segnale forte che evidenzia la ferma volontà di applicare il principio di solidarietà, cosa risponderanno gli Stati Membri?

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