Londra, 10 luglio 2018 – Theresa May appare ormai sempre più sola sullo scranno della Brexit, sola e isolata ma per nulla intenzionata a cedere il passo nonostante in meno di 24 ore si siano dimessi due big del partito conservatore, due convinti sostenitori dell’euroscetticismo: David Davis, Segretario di Stato per la Brexit (seguito dai sottosegretari Steven Baker e Suella Braverman) e il responsabile degli Esteri, Boris Johnson.
Il motivo è presto detto: una linea troppo morbida tenuta dalla premier durante le fasi negoziali dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. A scatenare le ire dei Tories uscenti è stata la proposta di mantenere un’area di libero scambio con l’Ue, che prevede tra le altre cose un sistema di mobilità per gli immigrati dall’Unione e legami commerciali e giuridici con il vecchio continente. Nelle rispettive lettere di dimissioni i falchi conservatori non hanno risparmiato neanche un colpo al primo ministro.
Davis ha sottolineato l’impossibilità da parte sua di continuare a portare avanti una strategia in cui non crede più, aggiungendo che sul tavolo sono state fatte “troppe concessioni e troppo facilmente” ma concludendo che lui comunque “spera di sbagliarsi”.
Più duro invece Johnson che senza troppi giri di parole ha affermato: "Il sogno della Brexit sta morendo, soffocato da dubbi inutili", invitando chiaramente il resto del partito a ostacolare la May e a lottare per scongiurare il pericolo che il paese assuma lo “status di colonia”.
Dopo la perdita della maggioranza alle elezioni dello scorso anno questa è senza dubbio la situazione più difficile che il primo ministro inglese si trova ad affrontare.
L' accordo interno al partito sui temi della Brexit era stato raggiunto appena lo scorso venerdì ed era stato frutto di un lavoro lungo e difficile, adesso non solo è tutto da rifare ma la stessa leadership della premier è messa in discussione dinanzi al governo e all’intero paese.
Forse anche per questo l’ennesimo rimpasto dei ministri è stato veloce: al posto di Davis si è insidiato Dominic Raab, 44 anni ex viceministro della Giustizia e poi dell'Edilizia, forte sostenitore della Brexit; mentre al posto di Johnson c’è Jeremy Hunt, 51 anni, dalle posizioni più moderate ma comunque un fedelissimo del governo, titolare della Sanità da quasi sei anni.
Nonostante l’evidente crisi di governo è difficile dire quali potrebbero essere gli scenari futuri. Se da un lato Theresa May è in evidente difficoltà, dall’altro è anche vero che far cadere il governo e andare a elezioni anticipate non solo penalizzerebbe il partito conservatore ma metterebbe il Regno Unito nella difficile posizione di non riuscire a trovare per tempo un accordo e rispettare così i vincoli del negoziato entro la data ultima del Consiglio Europeo di ottobre. Di questo però non sembrano preoccuparsi troppo né i dissidenti all’interno del Tory Party né naturalmente il leader laburista Jeremy Corbyn che non ha perso l’occasione di rivendicare nuove elezioni, foraggiato anche da un recente sondaggio a suo favore, sottolineando come il paese sia ormai nel caos e “prigioniero della guerra civile Tory”.
La lezione inglese avrà ripercussioni anche sugli euroscettici degli altri paesi Ue? Sarà da esempio per mitigare quanti mormorano di possibili uscite e rotture con l’Unione?
Questo è tutto da vedere.