Londra, 25 maggio 2019 – Theresa May distrutta e in lacrime. Il primo ministro britannico annuncia così le sue dimissioni a margine di un incontro con il deputato Graham Brady, presidente del Comitato 1922, potente organismo organizzativo parlamentare del suo partito.
La signora della Brexit, vittoriosa dopo il referendum che le aveva aperto le porte di Downing Street non immaginava quanto quel voto avesse potuto distruggere la carriera politica e passo dopo passo la sua leadership.
Succedendo al primo ministro David Cameron, con grande esaltazione la May inizia a portare avanti il processo formale per il divorzio del Regno Unito dall’Unione europea. Questo accadeva nel 2017 quando sull’onda del successo referendario la premier chiama il Paese alle elezioni anticipate per consolidare in linea con le positive proiezioni dei sondaggi, la posizione del partito dei Tory. Malgrado per tutta la campagna elettorale, cercando di influenzare le correnti avverse del suo partito e i cittadini britannici, avesse gridato e ripetuto come un disco rotto che lei e soltanto lei, avrebbe potuto incarnare una leader-ship forte e duratura per l’uscita del Paese dall’Ue, il partito perdette la maggioranza. Il tentativo di potenziare la vittoria del referendum con la mossa elettorale le si ritorse contro, impedendole di far approvare la sua intesa sulla Brexit dopo che i dettagli sull’accordo apparvero più chiari, una sfilza di ministri l’ha sfiduciò lasciando il governo in crisi. L’accordo considerato un compromesso alterava lo spirito del referendum.
In questi anni, la determinazione del primo ministro May, nel rendere concreto l’esito referendario e mantenere gli impegni presi con i cittadini del Regno, tra critiche ed opposizioni ha riscontrato in taluni ambienti anche elogi e consensi. L’accordo però portato avanti ad oltranza con esaltata tenacia ed ostinazione però non piaceva e non trovava credito da nessuna parte. Non convinceva affatto chi preferiva rimanere nell’Ue ma addirittura dissuadeva chi desiderava lasciare l’Unione europea e con passione aveva dall’inizio condiviso il pensiero di Theresa May, sostenendola nell’avventura della Brexit.
Proprio nel giorno in cui il Regno Unito avrebbe dovuto ipoteticamente divorziare dall’Ue, per la terza volta il 29 marzo scorso dopo altre due nello stesso mese, il tavolo dei deputati della Camera dei Comuni respinge l’accordo segnando la fine della May. La premier però continuando nella sua caparbietà rimodula per l’ennesima volta l’accordo e lo ripresenta prevedendo: l'obbligo legale di trovare alternative al backstop irlandese entro dicembre 2020; mantenimento della protezione ambientale di cui il Regno Unito gode come membro dell'Unione Europea; e una nuova ed efficace legislazione a tutela e protezione dei diritti dei lavoratori.
Martedì , May volendo forse anche convincere se stessa sull’approvazione della sua proposta, aveva annunciato che nel corso della stessa legislatura si sarebbe potuto pensare ad un nuovo referendum di conferma.
Nella sessione del 23 maggio la Camera dei Comuni ha fatto carta straccia dell’accordo. Per la premier è una fase senza ritorno. La sconfitta definita record nella storia democratica del Regno Unito apre alle dimissioni.
Dopo l’ultimo rovinoso tentativo di giungere alla ratifica della legge attuativa della Brexit, il compromesso trasversale a Westminster ha relegato all’isolamento Theresa May, che non può far altro che dimettersi. "Ho fatto del mio meglio per assecondare il voto popolare sulla Brexit, negoziare un buon accordo e ho fatto tutto ciò che ho potuto per convincere i parlamentari a votarlo ma non ci sono riuscita. Ci ho provato tre volte. Penso sia stato giusto, ma credo sia nell'interesse del Regno Unito avere ora un nuovo leader. Così Theresa May annunciando il 24 maggio a Londra le sue dimissioni in conferenza stampa nell’area esterna di Downing Street.
La premier britannica,lascerà l’incarico il prossimo 7 giugno ma rimarrà in carica fino alla scelta del suo partito di un successore.
‘’Il processo per una nuova leadership dovrà iniziare nelle prossime settimane. Sarà per sempre motivo di grande rammarico per me non essere riuscita a concretizzare la Brexit. Per riuscirci, il nuovo primo ministro dovrà trovare consenso in Parlamento, ma solo se entrambe le parti saranno disposte a scendere a compromessi. La vita dipende dai compromessi" ha aggiunto May nel rimarcare quanto le sue scelte avrebbero potuto condurre il Regno Unito ad un profondo cambiamento non limitato solo all’uscita dall’Ue. L’ostinazione della premier, continua anche nelle ore della cocente sconfitta, nel sostenere ancora la politica dei compromessi, quelli che hanno logorato il Paese e la sua stessa leadership.
Dopo aver declinato tappe e successi del suo esecutivo, Theresa May ieri, vinta dalla commozione ha chiuso il discorso con le parole ‘’è stato un onore servire il Paese che amo" ed è scoppiata in lacrime.
Secondo quanto scrive il Times, la May dimissionaria potrebbe tentare ancora una carta nelle more della scelta del nuovo primo ministro. Puntare su un nuovo leader Tory e futuro premier potrebbe non essere facile, potrebbero volerci diversi giorni o settimane ma al massimo sei. In questo periodo Theresa May potrebbe lanciare una mossa disperata, proporre in extremis al parlamento britannico un voto sulla Brexit.
In attesa del prossimo 7 giugno prossimo, quando rimetterà il mandato di capo dei Conservatori per consentire l'avvio dell’iter per l'elezione d'un successore destinato a sostituirla anche come premier, May rimarrà in carica e potrà ricevere il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in visita di Stato nel Regno Unito dal 3 al 5 giugno.