Roma, 17 febbraio 2022 – “Nei campi profughi tra Kenya e Mozambico ci capita spesso di vedere ragazzi e ragazze in giro, senza far nulla per tutto il giorno. Mancano opportunità di formazione, studio e lavoro. E’ tra quella frustrazione per la mancanza di prospettive che i gruppi armati arruolano nuove leve. Ai leader del summit Unione europea-Unione africana chiediamo di trasformare le parole in interventi di viluppo concreti che vadano oltre l’emergenza e costruiscano soluzioni di lungo periodo”.
Andrea Bianchessi, regional manager per l’Africa orientale e meridionale di Avsi, parla con l’agenzia Dire mentre a Bruxelles si è aperta la sesta edizione del summit tra i due blocchi continentali.Un’occasione, continua Bianchessi, per porre fine alla mancanza di lavoro e futuro per milioni di giovani africani, molti dei quali sfollati interni o profughi all’estero a causa dei conflitti. Una condizione che poi alimenta le migrazioni irregolari e accresce i tanti gruppi armati presenti nel continente. Tutti temi al centro del summit, soprattutto ora che la Francia ha deciso di ritirare la propria missione militare dal Mali, Paese chiave per la stabilità del Sahel e punto di passaggio per i trafficanti di esseri umani.Bianchessi cita l’esempio degli sfollati interni di Cabo Delgado, regione a nord del Mozambico dove Avsi è presente con diversi progetti. Qui dal 2019 si è inasprito il conflitto innescato da un gruppo armato locale che ha cercato di prendere il controllo dei giacimenti di gas, gestiti dalle multinazionali, provocando l’intervento dell’esercito e di forze internazionali, e costringendo oltre 700mila persone a lasciare le proprie case. “La differenza tra cosa vuol dire portare sviluppo di lungo periodo e il non farlo qui è evidente” continua il responsabile, “vediamo i campi profughi informali, dove la gente vive ammassata in tende e baracche, sorgere accanto a nuove aree abitative dove gli sfollati possono riprendere una vita normale”. Varie municipalità, riferisce Bianchessi, hanno dato alle famiglie terreni in concessione dove è possibile costruire una casa o coltivare l’orto. “Qui la gente lavora, fa progetti, sogna anche di tornare nei villaggi d’origine, ma intanto vive”. Tutto l’opposto di ciò che avviene nei campi profughi. Avsi, prosegue Andrea Bianchessi, regional manager per l’Africa orientale e meridionale di Avsi, lavora anche in Kenya, nel campo profughi di Dadaab dove secondo stime Onu vivono quasi 220mila rifugiati e richiedenti asilo dalla Somalia. Sorto nel 1991 per accogliere i profughi della guerra civile, nel 2011 ha visto l’arrivo di altre 100mila persone. Anche questo è un potenziale serbatoio per le milizie, ma “grazie ai nostri corsi di formazione- dice- abbiamo scoperto che gli insegnanti che facevano ritorno in Somalia trovavano lavoro più facilmente perché erano più qualificati degli altri”.Un altro elemento che conferma le politiche di sviluppo di Avsi: “Offriamo progetti di emergenza, ma l’obiettivo è il lungo periodo”. A Cabo Delgado ad esempio, dove le città – come spesso sta accadendo nei Paesi in via di sviluppo – raddoppiano la propria popolazione nel giro di pochi anni, “miglioriamo le strutture scolastiche, offriamo protezione ai minori non accompagnati, organizziamo progetti di formazione professionale e accesso all’energia”. In particolare “abbiamo creato piccole cooperative per la fabbricazione delle stufe migliorate e delle microgrid, per fornire energia ai villaggi”.Bianchessi conclude: “Si parla molto di Africa e del triplo nesso emrgenza-pace-sviluppo. E’ ora che queste intenzioni si traducano in risposte operative che guardino oltre l’emergenza, e questo significa avere il coraggio di finanziare progetti che vadano oltre i 3 mesi oppure tocchino più ambiti”, snellendo una “burocrazia troppo spesso frustrante”. fonte «Agenzia DIRE»